Posts written by erox06

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    CITAZIONE (•Imirichiwa• @ 24/6/2019, 15:57) 
    Holala, eh già il forum chiude (nel senso che rimarrà aperto, ma non si potrà più scrivere o fare modifiche)
    Ma i racconti verranno portati su un sito e lì se vorrai potrai scrivere anche il tuo! :riot:
    In questo momento è in fase di costruzione, ma verrà aperto il più presto possibile uwu
    Se serve altro non esitare a contattarmi.


    Cordialmente, imirichiwa.

    Ma quand'è che aprirà questo sito?
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    CITAZIONE (Ichigo| @ 1/6/2019, 14:24)
    continua :)

    Il racconto continuerà sul blog che ho riaperto, dato che fra un po' il forum chiude.
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    CITAZIONE (Eiden-crøss @ 21/5/2019, 15:40) 
    CITAZIONE (erox06 @ 18/5/2019, 19:55) 
    Però non avete ancora spiegato che motivo c'è di fare questa cosa adesso che il forum sostanzialmente chiude.

    Dal tuo commento mi sorge il dubbio che le cose non siano poi molto chiare, ho infatti l'impressione che si stiano unendo (o che si stia cercando di unire) due decisioni che in realtà sono disgiunte l'una dall'altra. Il pensionamento del forum aleggiava in Staff già da parecchio tempo, è rimasto in stand-by fino a quando non fossimo sicuri che si trattasse della soluzione più consona per Yaoi Fantasy.
    La decisione sui racconti, invece, è stata determinata dal presentarsi di precise circostanze (che non potevano essere previste), pensionamento o no quella decisione ci sarebbe stata comunque, perché si sono verificati degli episodi che hanno portato a quel risultato. Come già ho avuto modo di scrivere non siamo soliti ignorare segnalazioni così come, nonostante il pensionamento, non è nostra intenzione rimanere inerti davanti a irregolarità che si verificano nella Community.
    Spero che le cose, dopo questo commento, siano più chiare.

    Semplicemente non capisco come con la chiusura del forum, e quindi dell'impossibilità degli utenti di interagire, possano perdurare quelle circostanze che vi hanno spinto a modificare il racconto. La modifica del regolamento avrebbe senso in un'ottica di eventuale salvaguardia del forum, ma dato che il forum cesserà di esistere non capisco che cosa potrebbe mai capitare dopo il 20 giugno se i racconti rimanessero così come sono.
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    Però non avete ancora spiegato che motivo c'è di fare questa cosa adesso che il forum sostanzialmente chiude.
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    CITAZIONE (Eiden-crøss @ 15/5/2019, 18:37)
    CITAZIONE (nik_italian @ 14/5/2019, 20:17) 
    Penso che sia una stronzata...allora gli shota che è pedopornografia(non raffigurante persone reali quindi non illegale)..quella la tenete?

    Immagino che una mamma che non capisce un cazzo vi ha scritto arrabbiata per il figlio e voi gli avete dato corda quando avreste dovuta ignorarla...così sono andate le cose???

    CITAZIONE (erox06 @ 10/5/2019, 19:27) 
    Siccome il forum andrà in pensione tra un mese, penso che questa decisione verrà sospesa, tanto poi non potranno più esserci utenti attivi su queste pagine.

    In che senso va in pensione?


    In generale mi rompe sta decisione perché era uno dei pochi siti liberi rimasti...togliete anche gli shota a sto punto ..io non lo so...

    Ciao nik_italian, non è nostra abitudine ignorare le segnalazioni anzi, invitiamo gli utenti che abbiano dei problemi a usare la sezione Supporto o la linea diretta con lo Staff. Detto questo vorrei rassicurarti perché non abbiamo ricevuto alcuna segnalazione da parte di una madre arrabbiata per il figlio, né da nessun altro componente dell'albero genealogico.
    Come penso tu abbia avuto modo di leggere la decisione è stata presa per delle ragioni, anche altri utenti (come te) non sono affatto entusiasti per il cambiamento, ma quello che si chiede non è che tutti siano d'accordo con la decisione quanto il suo rispetto così come vengono rispettate le altre regole per i racconti.

    Però se avete deciso di pensionare il forum, applicare questo cambiamento di regolamento, modificando pure tutti i racconti precedenti, è veramente una str*: lasciate i racconto semplicemente come sono.
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    Siccome il forum andrà in pensione tra un mese, penso che questa decisione verrà sospesa, tanto poi non potranno più esserci utenti attivi su queste pagine.
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    Mi spiace molto per questa inattesa, spero che in realtà sulla decisione non pesino certi eventi di cui s'è fatto accenno in altre discussioni. Comunque sono sicuro se presto nascerà qualcos'altro, in qualche altro angolo del Web, a riempire il vuoto lasciato, e magari ci ritroveremo tutti quanti come semplici utenti.
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    Su un forum Yaoi una limitazione del genere è semplicemente senza senso, e si trasforma solo in una ridicola censura senza alcun fondamento, dato che nessun racconto erotico di per sé rappresenta qualcosa di potenzialmente illegale.
    Se ci sono problemi con una certa tipologia di utente, che si blocchino i canali che permettono questo tipo di molestie (messaggi privati, chat, ecc.) e lo scambio di materiale illecito.
    Faccio inoltre notare che cambiare l'età dei personaggi facendo diventare degli adolescenti improvvisamente maggiorenni farà diventare molti racconti sono solo incoerenti ma pure ridicoli.
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    Come cominciò... mercoledì di pioggia (seconda parte)

    Luca insistette perché andassimo a casa sua, ma ora che c’eravamo non avevamo più nulla da fare. Non che fuori ci sarebbe stato molto più da fare a intervalli di pioggia di mezzora tra un’occhiata di sole e l’altra, ma data la sua insistenza avrebbe almeno potuto inventarsi qualcosa da bravo padroncino di casa… e invece no: ce ne stavamo lì, fermi! ognuno a sprofondare nella sua scomoda postura in quelle vecchie poltrone del salone di casa sua. Non c’è che dire… casa grande, la sua, e dimessa: decisamente vecchia o antica – a seconda dei gusti – e dall’aria semiabbandonata (probabilmente per disinteresse verso la seconda o la terza casa: più case non devono esser facili da gestire, specie se usate di rado); una cosa, però, era certa: se quella apparteneva ai suoi per dinastia, a giudicar dai grandi ambienti disadorni, recanti ancora i fasti d’un tempo, e dall’arredamento austero, dovevano averne di soldi, i suoi! eppure, a guardarlo, non lo si sarebbe mai detto… ma forse tra quelle sue mille virtù, in lui, albergava pure quella. Di una cosa, però, scarseggiava: la prontezza d’iniziativa.

    Fissavo Luca severo, dirimpetto a Robertino (che si passava il tempo – beato lui! – guardando macchie d’umido sul muro in cerca d’improbabili pareidolie), intimandogli di muoversi o di escogitar qualcosa per la giornata. – Ho un’idea! – ci disse, chiamandoci a sé, come avesse avuto un’illuminazione.

    Certo che doveva essere veramente strepitosa come idea per giustificare quell’arciscomoda posizione! Tutti e tre incastrati tra i braccioli del suo canapè: noi due ai lati, Robertino al centro. Lo vedemmo muoversi, a prender qualcosa da sotto il divano: doveva trattarsi di qualcosa di ben intanato dalla fatica che stava facendo; e poi, con enfasi da prestigiatore, mostrò sul tavolino una rivista dall’indubitabile contenuto.
    – Dove l’hai trovata!? – incominciò Robertino.
    – È un segreto di me e mio cugino! – l'azzittì Luca, infastidito dalla sua domanda. E a giudicar dallo stato di consunzione delle pagine dovevano essersela tramandata di generazione in generazione, come un cimelio di famiglia.
    Luca allora cominciò a sfogliare sotto il muso arrapato di Robertino. Ce n’era un po’ per tutti i gusti: spagnole, pompini, manini; sborrate in faccia, in bocca, sulla pancia; ammucchiate a tre, a quattro, a cinque, fino a quando il numero dei membri coinvolti diveniva incalcolabile perfino dal numero dei corpi in campo; s'intervallavano a queste, poi, scene saffiche, bondage, fetish, sado, maso… insomma, di tutto e di più del variegato mondo delle possibili perversioni per chi non si accontenta di un canonico rapporto. La libido crebbe: Robertino non distoglieva lo sguardo affamato da quelle scene; io, senza farmi notare, adocchiavo ogni tanto i loro monticelli in cerca di loquaci accrescimenti; e Luca, intanto, voltava le pagine bramosamente, finché giunse all’immagine di due uomini che si toccavano, guardandosi languidamente. – Bleeh! – fu la sua prima e spontanea reazione, poi riprese a sfogliare più velocemente in cerca di qualcosa a lui – a tutti? – più gradito.
    Giunse in fine nel paginone centrale, dove un’avvenente e giovane bionda succhiava avidamente un enorme cazzone nero, lungo fino all’altro capo del foglio. Sarà forse stato per quell'icastico contrasto cromatico, o per il suo incommensurabile decolté, o per l’avidità con la quale succhiava, ma fatto sta che a un certo punto lo vedemmo voltarsi dall'altra parte e sentimmo inconfondibile una cerniera abbassarsi. Nooo, non poteva essere… ci stava prendendo in giro! Strabuzzammo gli occhi. Eppure dal rumore e dal movimento (…e che movimento!) era proprio quello…
    – Beh... che aspettate! Non vi siete mai segati in compagnia? – ci disse, e ritornò al suo laborioso uffizio.
    Io e Robertino non ci capimmo più niente: dopo il suo via libera, sembrava che tutto fosse lecito! Mi girai dalla mia parte e incominciai a segarmi selvaggiamente. Non ci potevo credere: mi stavo segando nella stessa stanza con lui, a pochi centimetri da lui… schiena a schiena… solo che se in mezzo ci avevo la stramaledetta schiena di Robertino!

    Stavamo chini, ognuno rannicchiato nel suo piccolo cantuccio di mondo, a manipolare i nostri turgidi ammennicoli, unicamente rivolti a noi stessi, ma segretamente guardando a quelli dei vicini; perché serpeggiava l’idea in quel momento che la sega in compagnia fosse lecita (perché sotto l’egida di Luca), ma l’occhiatina no: quella no! poiché neanche lui ce lo faceva vedere. E ovviamente Robertino stava nel mezzo, nel posto più sfigato: dove tutti glielo potevano vedere, ma lui non poteva vedere quello degli altri.
    A un certo punto Luca si alzò. – Beh, vediamo come ce l’avete! – disse, stuzzicandoselo ancora un po’, poi nascondendoselo sotto la maglietta. – Ma che c’hai in mezzo alle gambe: ‘na banana? – mi provocò.
    – Ma guardati il tuo!
    – E che c’ha il mio che non va!? – si alzò la maglietta, mostrandoci una bega che arrivava fino all’ombelico, diritta all’insù (ora capivo perché si diceva che “segnala le sei e mezza” quand'è in erezione, e non lo si paragona invece a una meridiana, come io, ingenuamente, invece avrei fatto, paragonandolo al mio, rispetto al mio corpo). Robertino in quel momento mi guardò come se l’avessi tradito. – Lui, piuttosto… come farà con quell’affarino lì! – l'istigò.
    – È quindici centimetri il mio! – scattò subito quell’altro: – …e mezzo!
    – Ma dove?! se sarà a malapena dodici… – replicò prontamente Luca, cominciando a bisticciare. Intanto io mi stavo segando furiosamente, fissandolo sempre in quel punto, ora, purtroppo, ricoperto dai vestiti. – Misuriamolo, allora! – lo sfidò Luca, estraendo una fettuccia metallica (di una ventina di centimetri) da un portachiavi che teneva in tasca.
    Roberto si alzò fiero, smanettando il suo turgido arnese, come dovesse partecipare a una gara olimpica. Luca accostò la fettuccia: – Non è quindici… – cominciò. Intanto io mi dovetti alzare per non rischiare di venirgli sul tappeto, davanti a quella scena.
    – Ma non sono centimetri quelli! – protestò Robertino, come un moccioso che aveva appena scoperto l’inganno.
    – Infatti, sono pollici questi! –, gli sventolò davanti la sua lunghezza. – Questo… bello mio! …è un souvenir dall’Inghilterra – decantò, come se la presunta esoticità dello strumento rendesse più valida la sua misura. – E il tuo è… – riaccostò la fettuccia, questa volta sfiorandoglielo leggermente, – …sei pollici! Quindi… un pollice sono quasi due centimetri… (2,54 riecheggiava nella mia mente) …quindi il tuo è dodici! – riaffermò, battendogli sulla testa per farlo sentire pure più bassino.
    Oddio, gliel’aveva toccato! Non ci potevo credere! Non riuscivo più a smettere di segarmi: – Lu… Lu… – balbettai il suo nome: – c… aaaah!…
    – Oh-oh! – pronunciò, comprendendo che la situazione gli stava sfuggendo di mano: – Aspè!… vado a prendere qualco… –, e scappò via. Ma tardi… troppo tardi! gli ero già venuto sul pavimento, trattenendo il resto del mio sperma nel palmo racchiuso a pugno sulla cappella.
    Robertino, intanto, continuava a stuzzicarselo, come fosse un pornoattore sfigato senza un buco in cui infilarlo sulla scena.
    – Pst… pss! – lo chiamai. – Robby!
    – Eeehhh! – rispose scontroso.
    – Vieni qua!
    – Che c’è?!
    – Non volevi sapere com’è? – gli aprii la mano col mio sperma, davanti. – Su, assaggia!
    – Ma… ma è di là! – balbettò, sconvolto non per la mia proposta, ma per la paura d’essere scoperto.
    – Allora… muoviti! – l’incitai. Il chiasso di là in cucina, di Luca che metteva a soqquadro la stanza, dovette incoraggiarlo a chinarsi, perché consapevole che finché sarebbe durato non avrebbe corso alcun pericolo o che almeno avrebbe potuto ritirarsi per tempo. Sentii per un attimo la punta umida della sua lingua sulla cappella – anche quando avrebbe potuto invece leccarlo dalla mano (ma forse è come quando t’offrono da bere dalla mano, e tu puoi bere direttamente dalla cannella…) –, quando Luca irruppe precipitosamente con un rotolo di carta in mano.
    – Trovato! – gridò.
    Roberto s’alzò rapidamente, voltandosi dall’altra parte, come a fingere di trovarsi lì per caso, ma un colorito paonazzo lo tradiva .
    – Beh… che c’è? – domandò Luca incuriosito da quello strano imbarazzo, poi venne da me, porgendomi uno strappo colla mano. Mi ripulii il cazzo, ancora detumescente, mentre lui tappezzava le mie gocce di sperma sul pavimento. No, non poteva averci visto: era troppo naturale nel farlo (nel pulire una schifezza del genere) per essere uno che ci aveva appena visti. Intanto Robertino si stava segando convulsamente alle sue spalle.
    – Certo che ne avevi… – mi disse, mostrandomi un pugno di moccoli sporchi del mio sperma in mano, poi fulminò Robertino con lo sguardo: – Devi venire anche tu?! – Lui annuì. – Allora vai di là in bagno! – intimò, e lui scappò. – Puif! – mi fece poi passandosi il braccio sudato sulla fronte, come a dire «pericolo scampato!», poi sorrise nuovamente, indicandomi la fettuccia metallica dimenticata sul tavolino.
    – Ma tu lo sai che quello che gli hai detto sui pollici in centimetri è sbagliato?
    – Già! – rise, facendomi capire che l’aveva fatto apposta. – Ma noi sì che ce l’abbiamo… – si vanagloriò, tirandolo fuori per accostarlo al mio, come se quella cosa, che ci accomunava, ci rendesse più lecito prendere in giro i meno fortunati...

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    Com’era prevedibile la sera piovve, e io non ero ancora riuscito a parlare della mia scuola con Luca. Per fortuna ero riuscito a convincere mio padre ad andare a letto presto, così almeno l’indomani saremmo riusciti ad andare in spiaggia per tempo, ma soprattutto sentivo ancora un gran bisogno di sfogarmi, e tenere in mano il manico duro di Roberto mi aiutava.
    Percepivo, però, in lui che qualcosa non andava: che si era rotto dopo tutto quello visto quel pomeriggio, specie dopo tutto quello che si era sentito dire… urgeva un momento di verità!
    Gli sussurrai con affetto all’orecchio che il suo non era poi mica così corto, continuando a menandoglielo, – …e poi sei pollici sono veramente quindici centimetri... – gli confidai, e quindi scivolai sotto le lenzuola a baciarlo alla palle. Avrei voluto in quel momento farci l’amore… mi fingevo che quel succhiotto fosse come se stessi leccato una figa, ma poi pensai alla lunga bega di Luca… Oddio, Luca, che bega! Ricordavo ancora quando s’era tirato su la maglietta: perfetto! Dritta... all’insù… fino all’ombelico… ricordavo che la prima e istintiva reazione fu quella di buttarmi in ginocchio a baciarla con idolatrica devozione, come con un idolo pagano… ma cosa ci faceva ora quella quindicina di tredicenne dentro la mia bocca? Come c’era finita? E perché soprattutto lui se lo lasciava fare?... e se pensavo poi a quanto s’agitava, a quanto godeva quando mi veniva… già! veniva…
    – Scusa, Robby! –, mi staccai, tornando su da lui, ma continuando a menarlo. – Posso farti una domanda? –Lui annuì. – Ma quando vieni…
    – Mh!
    – … e poi io continuo… – “…a succhiarti”, che difficoltà dirlo, – …tu ci godi ancora?
    – Sì! – mi disse.
    – Allora, fai provare anche un po’ me! – mi sembrava il momento giusto, e poi lo spronai a muoversi, scuotendo il braccio.
    Si portò su di me, e incominciò a segarmi di gran lena. Doveva essere oramai per lui una gran cosa menarmelo, vista la passione che ci metteva, anche se io avrei preferito uno scorrimento meno intenso: più concentrato sulla cappella, e soprattutto che scendesse meno tirandomi la pelle; ma forse dovevo capire che per lui doveva essere diventato oramai un’ossessione menarlo così lungo, specie dopo aver visto anche quello di Luca… quello di Luca! …ricordo ancora quando se l’era abbassato, per metterlo a confronto col mio: non vedevo bene, per via delle magliette all’inizio e alla fine, ma sentivo che quando con la mia punta toccai il suo pube, lui toccava il mio… oddio, quel calore… quel contatto! avrei voluto in quel momento che mi fosse entrato nella pelle, come da una ferita, che mi penetrasse in fondo fino a sentirmelo nel ventre!… mammamia, come le invidiavo quelle ragazze che un giorno avrebbero potuto sentirsi piene di tutto quel bendidio! Presi tra le mani la testa di Robertino, e – Continua! Continua! – gli dissi, spingendola in giù. Spinsi su il bacino, e fiottai tutta la mia crema nella sua gola (o quel poco che ne era rimasto da quel pomeriggio). Oddio, stavo godendo… dentro la bocca di Robertino! e lui continuava… continuava… ora capivo perché, finalmente, se lo lasciava fare… e il perché di tanto agitamento.

    Edited by erox06 - 16/4/2019, 23:11
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    Come cominciò... mercoledì di pioggia (prima parte)

    Drinnnnnnn! Drinnnnnnn! suonava alla porta certamente mio padre; e per fortuna che “Esco!” aveva detto poco prima, destandomi dai miei sonni di irredimibile dormiglione. Doveva essersi dimenticato le chiavi di casa, e ora era venuto a riprendersele: ma non poteva stare più attento? In questa fresca e uggiosa mattinata avrei preferito di gran lunga starmene a letto a crogiolarmi col mio Robertino, spupazzandomelo un po'. Drinnnnnnn! – Sìììììì! – Stropicciai il suo paccottino, mentre lui non sembrava minimamente infastidito da quel tedioso campanello. Drinnnnnnn! – ARRIVO! – e che palle! Avanzai barcollante verso quella porta odiosa.
    – Mah! Luca… che ci fai qui?! – esclamai strabiliato.
    – Eh… ho incontrato tuo papà e mi ha detto di salire. Disturbo?
    – No, entra!
    Ero contento di avermelo ritrovato sul pianerottolo di casa, ma questo in parte rovinava i miei piani per la mattinata. Poi mi ricordai anche che Robertino non indossava le mutande, e questo sarebbe stato un altro bel problema se avesse deciso, risvegliandosi, di sbandierare la sua fiera erezione.
    Feci accomodare Luca al posto solito di Roberto perché lo avesse di spalle. – Luca, vuoi qualcosa? – dissi ad alta voce di modo che ne sentisse la presenza.
    – No, ho già mangiato. Ma… grazie!
    Intanto Robertino si era risvegliato, e mi guardava stralunato per la presenza di quella testolina bionda in mezzo alla stanza, che da sola sembrava ridar luce all’intera giornata. Avrei voluto fargli una foto per quant’era buffo, ma dalla sua faccia capii che era in atto l’emergenza erezione.
    – Su, vatti a cambiare in bagno che facciamo colazione! – l’imbeccai per filo e per segno, temendo che fosse troppo stupido per capire come agire.
    – Ah, ciao! – lo salutò anche Luca, quasi si fosse accorto che non era un soprammobile: – Ma ci sei anche tu! –; se voleva continuare con una pace duratura non gli conveniva trattarlo con così tanta sufficienza.
    – Luca, biscotti? – dovevo distrarlo.
    – Cosa sono?
    – Boh, tanto per far colazione…
    – Allora, ne prendo un paio! – Roberto, intanto, si era portato goffamente verso il bagno, coprendosi con un fagotto di vestiti davanti al pube; ma a un certo punto lo vidi soffermarsi didietro a Luca, e tirare fuori un barzotto pisello e una lunga linguaccia in segno di scherno. In quel momento l’avrei ucciso! io facevo tanta fatica per proteggere il nostro segreto, e lui metteva tutto a rischio per un’infantile ripicca. Ma mi ero dilungato un po’ troppo oltre la sua spalla per non risultare sospetto, e anche lui si girò, mentre Robertino corse velocemente in bagno.
    – Ma dormi lì anche tu? – m’indicò il letto.
    – Sì… perché?
    – No, niente… – disse, ma vidi un sorrisetto malizioso tirar su il suo labbro. Ma che c’era? Due ragazzi non potevano condividere lo stesso letto nelle vacanze? Non potevano esserci cause di forza maggiore? L’aria si fece un tantinello pesante, ma per fortuna ci pensò l’arrivo di Robertino a stemperare la situazione. Ora, però, sembrava quasi la stessa presenza di Luca a conferire un’aria più leggera alla colazione: un che di positivo, comunicandomi un senso d’insolita famigliarità: non eravamo più soltanto un ospite e un padrone; ma ragazzi, e si scherzava. Roberto e Luca intanto avevo persino preso a conversare amabilmente, come due amici; era bello vederli conversare nelle loro opposte differenze: l’uno più bambino e scontroso, l’altro più sveglio e impostato; l’un moretto, l’altro biondino. E io, in tutto questo, mi sentivo un po’ come un fratello maggiore, che doveva preservare quell’idillio da qualsiasi disarmonia: come quel filino rosso tra i suoi capelli; allungai la mano per prenderlo… ma poi Luca che cos’avrebbe pensato? forse un gesto un pochino inconsueto… forse una carineria più da mamma che da amico… e avrebbe sospettato, congetturato… e quella mano si trasformò in un sonoro scappellotto.
    – Ahi! – strillò inferocito.
    – Guarda che cos’avevi tra i capelli!
    – Ahia… – continuò a lagnarsi come un bambino
    – …mh! mh! mh! –, rise Luca, – Ma quanti anni hai?
    – Tredici! Come te! – rispose, finalmente, acuto.
    – Nooo! – esclamò Luca, come se gli avessero detto un’eresia: – Io ho un anno in più! Perché tu li hai già compiuti, io li devo compiere tra qualche giorno…
    – Allora, sette mesi! – precisai io.
    – Perché?
    – Perché tu sei nato ad agosto… e lui a marzo, l’anno dopo. Quindi, sette mesi!
    – No, di più… – contestò, iniziando a contare sulle punte delle dita – …gennaio, febbraio. Sì, hai ragione: sette mesi! – e si morse teneramente la lingua.
    – Ma tu non eri quello uscito con ottimo…
    – Sì, ma sai com’è: quando esci, le cose inutili si dimenticano… – ironizzò, ma su questo forse concordava con quel somaro di Robertino: – A proposito, – riprese: – dopo mi puoi raccontare delle cose sulla tua scuola?
    – Ma su cosa?
    – Niente! In generale.
    – Va bene, ma dopo… – anche perché Roberto ci stava già trafiggendo con lo sguardo.
    – Sì sì, quando vuoi… E tu che hai da guardarmi?! – si voltò verso Robertino, che lo fissava da vicino con due occhietti a fessura
    – Ma tu sei biondo veramente? – gli chiese, stranamente
    – Certo che lo sono! – rispose piccato e un po’ vanitoso.
    – Ma è così strano… – sembrò mettere in dubbio la naturalità del suo biondore
    – …e sono biondo anche qui! se non ci credi… – disse, facendo per mostrargli un po’ del suo vello.
    Che ghiotta occasione! Mi alzai dalla seggiola per vedere dall’altra parte del tavolo se per caso non si vedesse dell’altro…
    – E io no! – replicò Roberto, mostrando un po’ del suo cespuglietto pubico (ma credevo che volesse sfoderarlo del tutto, convinto d’avercelo più lungo).
    – Beh, puoi anche evitare… – rispose Luca, allontanandosi da quella scena e coprendosela con le mani: in effetti, quei quattro pelacci crespi non potevano competere col suo soffice ciuffetto dorato.

    ***



    – Ma non vai a vedere il mare? – chiesi perché, invece di correre a veder la mareggiata, stava lì con noi, sotto l’ombrellone, ad appendere lo zaino, visto che aveva insistito tanto per venire in spiaggia.
    – Ma è solo mosso… – rispose, scalciando una dunetta di sabbia.
    – Ma se c’è la doppia rossa!
    – E si vede che c’è solo la corrente forte… – e quindi niente bagno, ma il problema vero era che non avevamo nulla da fare.
    – Allora, che facciamo? – guardammo entrambi Luca.
    – Io non le ho le carte… –, ma potevamo sempre chiederle al bagnino… oppure potevamo metterci a parlare, come si fa tra ragazzi: parlare di ragazze… che non avevamo (e che non c’erano), di noi… delle nostre abitudini, dei nostri sogni, dei nostri cazzi …giusto! Luca come ce l’aveva? Luca, ce lo fai vedere che noi ce lo chiediamo da ieri sera? Ma lui guardava un gruppetto di ragazzi, oltre l’ultima fila d’ombrelloni, che discutevano guardando qualche cosa a terra. – Perché non ci uniamo a loro? – propose, e ci andò.
    Era un gruppetto di cinnazzi, di non più dei dodici anni, fra cui intravidi anche quei due cinnazzetti che l’altro giorno ci avevano fissati dalle docce (e che già altre volte avevo visto correre lungo la passerella).
    Francamente mi sentivo un po’ a disagio a essere io unico “grandone” in mezzo a quei cinni: forse per loro sarà stato anche naturale stare col gruppetto delle medie, ma non per me! E poi che ci saremo messi a fare? Che mi forse aveva tolto dal giocare con le biglie di Robertino stamattina per giocare ora con le loro? e poi ci voleva una pista… ma ci avremmo pensato noi: fu la proposta di Luca, poi si voltò verso di me: – Allora… come la facciamo? – disse con faccia santarellina. Ma come mai l’avremo fatta…? Boh… – …andiamo fin là… –, m’indicò un bidone al confine tra i due stabilimenti – …poi giriamo intorno…
    – Ma sì: facciamo una pista di cinquanta metri, così alle tre del pomeriggio siamo ancora qui al primo giro! – sbottai.
    Luca sorrise, forse capendo d’aver esagerato un po’ troppo tirandomi in ballo in questa storia: – Allora, come la vuoi fare?
    – Ma… la facciamo così! – mi chinai a terra, disegnandone il tracciato sulla sabbia – …a doppio otto!
    – Ma quello non è un “doppio otto”…
    – Vabbè: tre occhielli! – andava bene ora al signorino? – Poi qui ci facciamo una chicane, un ponte qui! e qui un salto. Va bene? – il direttore dei lavori condivideva il progetto? Perché, lui, avrebbe diretto i lavori, e tutti quei manovali: con cui io non volevo aver nulla a che fare, specialmente con gli stranieri!

    Per cominciare, serviva però qualcuno da trascinare: e tutti loro avevano decisamente fisichini troppo “stretti” per poter tracciare, in una volta sola, una pista abbastanza fonda per poterci giocare tutti quanti assieme, e contemporaneamente.
    – Beh! – fece Luca, portandosi le mani alla vita. – Allora facciamo l’aratro… – disse, abbassandosi le braghe, – …come la posizione dell’altra sera! – e si buttò a terra, alzando le gambe per farsele prendere, e mi sorrise.
    Non credo si rendesse realmente conto di tutti i maliziosi sottintesi sottesi alla sua ingenua battutaccia, ma il problema ora non era quello… sebbene, infatti, oggi indossasse solo un banalissimo costume blu notte, ci pensavano quelle due bandine azzurre ai suoi lati a evidenziarne la parte centrale e il suo mostruoso contenuto. Io cercavo di non guardare, di distogliere lo sguardo, ma il mio occhio finiva immancabilmente lì. Fu un vero tormento tracciare il circuito, secondo il percorso prestabilito, seguendo le sue indicazioni... ma, accidenti, proprio in verticale dovevano distribuirglielo quel bicolore! Non potevano metterlo in orizzontale? Ma quale maniaco aveva disegnato un costume così, destinato ad un ragazzino? Ma non poteva prendere spunto da tutti… come gli altri? c’era chi ce l’aveva grigio… chi rosso… chi nero…. verde… a tinta unita; e poi a pantaloncino (come Robertino) o a braghina, magari molto sgambata, o in acrilico o in tessuto; e quasi tutti loro risultavano piuttosto piatti, anche tra i più grandicelli: tanto che sembrava quasi impossibile che uno di loro potesse vantare, fra uno o due anni, dei lavori come dei nostri nelle mutande…

    La pista, alla fine, venne comunque fuori qualcosa di mostruoso: tanto che fummo costretti più volte a ripensarla, se volevamo finirne i lavori entro la mattinata. Durante i lavori si decisero anche le squadre, di cui loro due, ovviamente, sarebbero stati i capi; e, siccome eravamo dispari, io – per mio sommo gaudio – avrei fatto da giudice di gara, per gentile concessione di Luca. Il mio problema, però, non era comunque quello… ma che non riuscivo a smettere di guardarlo: stavo continuamente in sua opposizione lungo il tracciato per poterlo a guardare, mentre alacremente lavorava sdraiato alla sua porzione di pista. Ma dovevo stare attento… perché quel cinnazzetto straniero, in squadra con lui, con la coda dell’occhio mi continuava a controllare, mentre adocchiavo il pacco del suo capitano. Avrei dovuto smettere – lo sapevo! –, ma la paura, dato il tempo, che nel pomeriggio non sarei più riuscito a rivederglielo, assieme alla quasi certezza che l’indomani non l’avrei più rivisto mi spingevano ad osservarlo il più possibile, per fissarmene nella mente ogni più piccolo dettaglio, ogni dimensione, ogni proporzione, nella consapevolezza che un domani mi sarebbe servito per le mie future seghe… ma quel cinnazzo mi continuava a guardare! Poi parlò con lui; assieme si allontanarono, verso i pedalò. Luca mi guardò, poi venne vicino.
    – Alle, vieni con noi a prendere un gelato? – mi chiede, mentre inutilmente continuavo a compattare la mia parte di sabbia, ormai da un quarto d’ora.
    – Sì! – risposi: la mia voluttà non riusciva a dirgli di no.

    Guardavo Luca e quei due cinnazzetti ai nostri lati, smettendomi in trappola. Temevo una domanda… Poi quei due corsero via, anticipandoci, verso il bar della spiaggia. Ma non seguì alcuna domanda, così a me una sorse spontanea: – Ma i soldi dove ce li hai? –, visto che non aveva con sé né portafogli né marsupio: mica avrà voluto chiederli a me?
    – Qui! – indicò il risvolto del costume, girandolo e mostrandomi due monetine e il fianco biancognolo. Ma perché l’aveva fatto? Non poteva limitarsi a indicarmene: l’avrei vista la loro sagoma! Che almeno, allora, mi avesse mostrato dell’altro… chessò, l’inizio…! Eppoi, avrei saputo io dove mettergliele quelle due monetine, per tenergliele in un posticino più sicuro: tipo quella “taschetta” anteriore che si formava, in quei costumi, tra la stoffa e la fodera interna, a protezione del suo regale augello; e al momento di tirarle fuori avrei saputo io come trovarglieli, tastando sulla sommità della sua prominenza in ricerca di quei due più duri tondini… oppure gli avrei potuto infilargli un bel deca, se solo mi avesse lasciato dargli un’occhiatina…
    – Tu non prendi niente? – mi chiese al bancone, sberleccando il suo bel gelato
    – …un tè alla pesca! – gli risposi, mostrando i miei soldini in mano.
    – Vuoi? – me ne offrì un po’.
    – No… –, ma mi sarei abbassato volentieri e dettogli: – …ma tu continua pur lì, che io faccio un po’ qui! – e gli avrei abbassato il suo bel costume lì sul davanti. Ma basta! dovevo smetterla di avere queste fantasie erotiche davanti a lui! Ma come fare, se anche ora, che camminavamo appaiati, stavo uno o due passi avanti apposta per poter guardare in basso e indietro, e poterglielo sbirciare?

    La gara iniziò, e la rivalità si estese presto alle intere squadre – o almeno a coloro che sapevano l’italiano.
    Non ci potevo credere di stare in mezzo a tutti quei cinni, e proprio mentre con Robertino avevo iniziato ad esplorare un po’ di sessualità… e ancora più specie mi faceva vederlo lì in mezzo a loro, sdraiato sulla sabbia, immaginandomi quella sua turgida quindicina, nascosta nei pantaloncini, accostata alle loro minchiettine invisibili e che pure alcuni di loro avranno già iniziato a stuzzicarsi… forse solo un paio di loro, e in particolare uno con un costumino rosso e un pescetto sorridente blu e giallo disegnato sopra, avrebbe potuto un giorno vantare una sventola come le nostre, anche se in confronto a Luca, allora, sul suo avremmo dovuto disegnarci un barracuda!
    Ma basta! basta! Dovevo smetterla di sognare a occhi aperti davanti a lui, anche perché quel cinnazzetto mi continuava a guardare. Nel mezzo della gara, mi sorse poi e un altro problema: come avremmo stabilito, infatti, il vincitore? Cin base al primo arrivato? ma sarebbe stato poco rispettoso del gioco di squadra; in base al numero degli arrivati? ma data la smania con cui si schiccherava, si era deciso che l’uscito sarebbe rientrato al posto dell’ultimo in gara; con la somma dei piazzamenti? ma allora non c’era già più neanche gara. Forse, allora, si sarebbe potuto risolvere tutto all’ultimo con una disfida diretta tra i due capitani a chi ce l’aveva più lungo… ovviamente, tutto pubblico! tutto sotto i loro attenti occhietti testimoni: tutti rinchiusi dentro a una cabina, a guardare, a valutare, verga a verga… e per soprammercato il vincitore mi avrebbe pure sborrato in bocca, e io così avrei poi mostrato loro il frutto lattiginosa della loro sudata vittoria assieme a una futura nuova funzionalità delle loro minchiette… ma dodici rintocchi suonavano nell’aria, e – Dobbiamo andare! – disse Luca, andando e recuperando i suoi pantaloni dal pedalò. Noi due lo inseguimmo, promettendo che ci saremmo rivisti nel pomeriggio per terminare quell’estenuante gara: tanto con quelle nuvolacce all’orizzonte chi mai l’avrebbe rivista più tutta quella cinnaglia!
  11. .
    Lectio pompinorum

    – Dai, muoviti!
    – Ma sì, arrivo! – mi gridò stizzito, infilandosi i pantaloni. Chissà che cosa stava pensando mio padre nel vedersi un altro maschio cambiarsi davanti a me in salotto: ma, dopotutto, dove altro avrebbe potuto trovare un posto più consono per cambiarsi in quella casa? Forse in camera sua… ma forse, ancor di più, erano solo menate paranoiche di un adolescente complessato.
    – Ma si può sapere perché hai tanta fretta di incontrare quello là? – mi rinfacciò, appena usciti sul pianerottolo.
    Quello là…? Mmh… doveva proprio stargli simpatico! Ma gli conveniva star cheto, se questa sera, nel letto, non avesse voluto pagare le sue improvvide intemperanze da fidanzatina gelosa.
    – Dai… movet! –, lo scappellottai sulla capoccia.

    Non so perché, ma l’idea di quel rendez-vous mi galvanizzava: sarà forse stato perché non eravamo più finalmente solo io e il cretinetti o forse per la sua sconvolgente personalità che m’intrigava; fatto sta che presto ci trovammo tutt’e due a ricercare un biondino, tra la folla, che si reggeva il braccio (ultima immagine di lui, da questo pomeriggio), quando mi sentii tirare a una spalla.
    – Ciao! – mi sorrise, con indosso una felpetta larga e un paio di pantaloni a vita bassa, o portati appositamente tali.
    – Uh, … ma sei un rapper! – esclamai, anche se in realtà avrei voluto gridargli quant’era bello.
    – Ma va! Mi sono semplicemente larghi: eran di mio cugino ed è la prima volta che li metto.
    – …e il braccio come va? – intervenne la piccola serpe, sputando il suo malevolo veleno.
    – Insomma… – disse, toccandosi istintivamente il braccio, laddove gli faceva più male. Ma io glielo presi e gli tirai su la manica, tastandolo premurosamente.
    – Beh… dai! non mi sembra ti faccia poi così male! – in realtà, volevo solo un pretesto per toccarlo: era da questa mattina che lo volevo. E sarei stato lì per ore a tastarlo, in cerca di quel puntino che gli faceva più male, per poi dargli un bacino taumaturgico sulla bua e guarirlo; ma piccola peste voleva assolutamente andare in sala giochi.

    Là fu un vero delirio: ogni occasione era buona per una sfida. Calcio, bigliardino, tetris, picchia duro, corse in motocicletta, in macchina, cecchinaggio, hockey sul tavolo, biliardo… e lì chiusi la cassa (che io detenevo!) davanti alla modica cifra di dodici euro alla mezz’ora: – No! Piuttosto andiamo a farci un bel gelato! – che io avevo anche una certa voglia di soddisfare la mia passione di crêpe alla Nutella.
    – Venite! Conosco un posto… – ci propose Luca.
    – No, ma noi andiamo al Pellicano, sul lungomare…
    – E io quella dicevo… È la più buona! – esclamò, come se per noi fosse una novità.
    – Eh… ma va!...
    Certi atteggiamenti di Luca, però, incominciavano un po’ a darmi sui nervi: tendeva ad atteggiarsi un po’ troppo a capetto o come a quello che la sapeva più lunga degli altri: quando noi erano ormai anni che ci venivamo in quel posto, anche se, proprio su quei tavolini, scoprimmo che lui ci aveva casa, e che proprio in quella stava con suo nonno in vacanza.
    – Ma che cosa ci hai messo dentro? – chiese Luca tra una leccata e l’altra.
    – Cocco e nutella… vuoi assaggiare?
    – Sì, grazie! E tu? – mi offrì il suo gelato.
    Senza il muso incarognito di quel piccolo bilioso, saremmo stati divinamente, io e lui, quella sera.
    – Merda! – esclamai.
    – Che c’è?
    – La nutella… mi sono sporcato! – mostrai la macchia sulla parte interna dei pantaloni: non si vedeva tanto, però mi scocciava ugualmente dover ridire a mio padre che me li doveva lavare di nuovo in quella vacanza.
    – C’è una fontana qua vicino! – ci indicò.
    In effetti, a pochi metri, c’era proprio un giardinetto, che noi non avevamo mai notato, perché troppo buio la sera, mentre di giorno non ci passavamo mai davanti.
    – Grazie, eh! – lo ringraziai, mentre s’allontanava. – Almeno non si vedrà la macchia… –, anche se la chiazza bagnata dava proprio l’idea di essersela fatta addosso, letteralmente; mentre lui, invece, la stava facendo veramente.
    – Aaaah… – sospirò, venendo a lavarsi le mani: – Tutt’a posto, allora? – ironizzò, guardandomi i pantaloni.

    Io non me la sentivo di andare in giro, almeno finché le mie braghe non si fossero asciugate, così ci appollaiammo su una costruzione in legno al centro del parco, nel posto più buio. Era una specie di castello, composto di tre torri e vari giochi di collegamento, a mo’ di “ponti”, da percorrere appesi o sospesi, a seconda del caso, del percorso o dell’abilità. E uno questi stava ripercorrendo Luca, in una sorta di smania ginnica, appeso come a una scaletta a pioli posta di traverso, da percorrersi a mano a mano, sospeso a un paio di metri d’altezza. Ricordò che, quando lo vidi afferrare quel piolo, mi chiesi se anche lui stesse provando la stessa cosa che stavo provando io seduto su quell’analogo pezzo di legno che stringevo: e cioè di star stringendo qualcosa della stessa sezione del mio cazzo, stupefacendomi e chiedendomi se la mia fosse realmente tale; ma mi sentii chiamare con un grido disperato.
    – Aiuto! Aiuto! Non riesco più… – lo vidi appeso per una mano sola.
    – Arrivo! – mi precipitai.
    Là, appeso, con le braccia protese verso il cielo e la felpetta leggermente alzata, ebbi come la miglior visione di lui di tutta la serata: del suo fianco snello e dell’elastico bianco delle mutande, appena sopra la cintura, che si evidenziava sotto lo scuro della felpetta. Fu conturbantemente bello allungare le mani per prenderlo e sentirle salde sui suoi fianchi, specie quando si mollò per farsi accompagnare da me al suolo. Saran stati forse due secondi quella discesa, ma per me fu sufficiente per essere così eccitato che avrei preso Robertino e portatolo dietro un cespuglio a farmi fare un manino.
    Intanto Robertino se la stava ridendo alla grande per la sua figuraccia, così Luca decise di portarci in un posto diverso, per rimediare. In realtà, non capivo perché dovevo essere io a essere menato in giro da un quattordicenne, quando invece avrei dovuto essere io, più grande, a decidere dove andare e loro due a seguirmi, ma non feci neanche in tempo a terminare il pensiero che Luca entrò dentro una libreria, facendoci cenno di seguirlo. Roberto lo guardò col compatimento con cui si poteva guardare uno sfigato, e dal suo punto di vista aveva anche ragione: con tutti i posti che c’erano, proprio in quello che ricordava di più una scuola dovevamo finire? A me, invece, non dispiaceva affatto, forse anche per il mio essere, in segreto, modesto frequentatore di biblioteche, ma a lui questo non potevo di certo farlo capire, se non perdere la poca stima acquisita, così ci mettemmo tutt’e due distrattamente a guardare i titoli lì intorno per non dare troppo nell’occhio.
    Luca sbucò fuori da un budello in fondo al negozio, facendoci segno di raggiungerlo. Appena raggiunto, sfilò fuori un volumetto da sotto una pila di altri libri: che banalità… un kamasutra! Ma, sfogliandolo, sembrava anche ben fatto: tutto corredato com’era di immagini didascaliche, con omaccini stilizzati in rosa e d’azzurro, e anche foto in bianco e nero, da cui però non si poteva vedeva niente: né un capezzolo, o un pelo, o un solo pezzettino scottante di lui o di lei. Praticamente potevano anche essere solo semplici pose, senza penetrazione, che a loro due non poteva importare di meno: presi com’erano dal commentare goliardicamente, passando da una pagina all’altra: – Oh, guarda qua! – E beccati questa!
    Giunsero poi alla posizione dell'“aratro”, e Luca mi punzecchiò con una gomitatina: – Chissà dove glielo sta… – mi sussurrò all’orecchio.
    – Cosa? – domandò Robertino ingenuamente ad alta voce.
    – Niente! Tu non puoi capire… – disse e glielo chiuse davanti, portandoselo via.
    – Veh!... –fece lui.
    – Presto! muoviti! – lo spinsi via, anche perché altri due stavano arrivando da dietro.
    Sorpassammo Luca alla sezione ragazzi, vedendolo nascondere qualcosa sotto i libri per i più piccoli, e poi lo vedemmo filare via: – Presto! Presto! via… via! – ci raggiunse, correndo.
    Corremmo per due o tre vie, lunghe, buie, in direzione del mare, fermandoci in uno spiazzo a ridere istericamente al contagioso riso argentino di Luca.
    Mi accorsi, però, che eravamo quasi giunti al porto: alla spiaggetta libera, che anticipava i primi gli scogli posti a protezione del molo: – Ehi, perché non andiamo sulla spiaggia? – proposi, e mi avviai, intanto che li sentii parlottare.
    – Ma che gli stavi dicendo?
    – Vieni, che ti spiego! – lo prese sotto braccio, attorno al collo: – …devi sapere che l’uomo, nella donna, glielo può mettere davanti, ma anche… –, intanto che io chiedevo donde Luca traesse tutta quella sicurezza a parlare di sesso: forse dall’esperienza? Di solito, mi mandava in paranoia l’idea di ragazzini più piccoli di me che già lo avevano fatto… e io già me lo vedevo in quella posizione con un’altra quattordicenne: con le belle gambe tornite di lei sopra le spalle, e lui che ci dava dentro, tirandola a sé, trattenendola per le tette, e lei che godeva: oooh, se se lo godeva! E chissà quanto ci avran goduto le sue compagne di classe con lui in quella posizione… o anche solo strusciandosela sul pacco di lui disteso… e poi il silenzio. Il molo quasi deserto. L’immensa nuvolaglia che si stava avvicinando, lampeggiando all’orizzonte. Il baluginio delle onde. La brezza, e il sapore di salsedine. Lo sciabordio sugli scogli e lo sciacquio sulle schegge frante di conchiglie. La quiete di quel luogo avrebbe aiutato a riconciliarsi con sé stessi, se non fosse stato per il parlottio infastidente di quei due seccatori, che ancora stavano facendo a gara a chi dei due la sapeva più lunga questa volta in materia sessuale, con Luca che era salito sugli scogli per dare maggior enfasi, anche visiva, alla sua conoscenza.
    – …e la polluzione? – gli chiese dall’alto della sua cattedra di scogli.
    – No…
    – È quando vieni dormendo. E il cunnilingus, sai che cos’è?
    Roberto mi guardò come a chiedermi se non lo stesse prendendo in giro con tutto quello sfoggio di latinorum.
    – È questo! – si appiccicò alla bocca pollici e indici, a mo’ di vulva, e vi sbatté dentro ripetutamente la lingua, con un grido berbero.
    Robertino mi guardò scandalizzato, anche se non so se per l’inconscia consapevolezza di quell’atto o per la sua triviale imitazione.
    – Lo sapevo… – commentò Luca, con tono di compatimento.
    – Oh, hai rotto! – finalmente gli rispose: – Dici, dici… ma secondo me non hai fatto mai bel un niente… e non c’hai manco la ragazza!
    – E allora? – Era un’ammissione?
    – …e non hai mai neanche limonato… – ecco, ora stava diventando un tantino infantile.
    – Anche questo è vero! – lo azzittì: – Ma, secondo me, lui: sì… – mi tirò di nuovo in ballo.
    – Cosa… – feci finta di non capire.
    – Beh, tu l’hai baciata una ragazza, vero?
    – Beh… sì – balbettai, anche se era vero. In effetti, due c’erano stati: uno all’età di Robertino, durante un gioco della bottiglia (ma la lingua c’era stata, e quindi contava!), e l’altro a una festa d’amici, più d’un anno prima, con una probabilmente più in balla di me (per questo mi aveva baciato…); per il resto tacevo, perché sapevo d’aver tenuto più in bocca il pisello di Robertino l’altra sera che non le lingue di quelle due.
    – Allora… com’è? – mi chiesero tutt’e due desiosi di piccanti dettagli.
    – Ma come faccio a spiegarvelo!... Provate fra voi due e lo saprete… – dissi per scandalizzarli, ma ora c’era altro che mi preoccupava: – Dai, scendi! che sta per piovere!
    Luca scese giù dalle rocce agile come uno stambecco, poi ci raggiunse, aggrappandosi alle nostre spalle: – Aspettate un attimo… – ci disse, correndo di nuovo indietro.
    – Perché? – fece Robertino.
    – Devo cambiare l’acqua al pesce! – esclamò come un uomo consumato dalle mille esperienze, piazzandosi davanti agli scogli.
    Robertino non sapeva come agire di fronte a tanta spavalderia.
    – Ma sì, via! – lo raggiunsi, al massimo ci saremmo bagnati! Mi misi di fianco a lui, leggermene angolato, col mare che mi lambiva le scarpe; mentre Robertino si era messo in disparte, in un anfratto più appartato.
    – Ma tu non la fai? – mi sgamò.
    – Ma no… non si sente: è l’acqua… senti? …e poi è poca… – balbettai, ma la verità era che con mi sarebbe mai potuto uscir fuori niente con quell’erezione che avevo, talmente ero eccitato per averlo tirato fuori vicino a lui. Non so perché l’avessi fatto, credo che segretamente sperassi che avesse allungato lo sguardo per sbirciare e magari detto: “Complimenti!”, e io a lui: “Beh, anche tu!”; ma invece mi sarei dovuto soltanto accontentare di quell’archetto scintillante, certamente dorato come il suo pelo.

    ***



    Rincasammo che già pioveva, dopo un’improbabile promessa d’appuntamento per l’indomani mattina.
    – Oh, finalmente siete rientrati! – furon le prime parole di mio padre: – …temevo di dovervi venire a cercare! – e pensare che Luca (più piccolo di me) tornava a casa da solo! – Vabbè, io torno a letto… e stasera dormite coperti che sennò il freddo vi frega!

    Non mi sembrava vero d’aver schivato quell’acquazzone scoppiato non appena entrati in bagno: per affrettare i tempi entrammo insieme, ma io ora la dovevo fare, veramente.
    – Esci, che devo pisciare! …e chiudi la porta! –, ma Roberto restò lì a fissarmi davanti alla tazza: – Cos’è: me lo vuoi vedere? – scherzai, sbandierandogliele davanti con la mia mezza erezione.
    – Ma hai visto oggi Luca…? – mi domandò, come qualcuno che doveva assolutamente ricevere una risposta.
    – Cioè?...
    – Il costume…
    – Aaah! Ma va’ che è tutta scena…
    – Mmm….
    – C’è il trucco! – gli suggerii, ma lui non capì, così chiusi la porta: anche perché pure io ora volevo una risposta. – Sali! – gli dissi, mettendogli uno sgabello davanti al lavabo.
    – Perché?
    – Tu, sali!
    Finalmente il suo pube era all’altezza della mia faccia, davanti allo specchio. Gli infilai le mani sotto il pigiama e dentro le mutande a sistemarglielo come supponevo lo tenesse Luca. – Non ti eccitare! –, o non sarebbe servito a niente. Poi tirai giù: – Toh, guarda!
    Il suo bel bugnoncino ora si rispecchiava nello specchio ben più voluminoso del solito. – Visto! È merito di come lo porta nelle mutande: lui lo porta verso l’alto – spiegai. – È tutta scena! Anzi, forse ce l’ha persino più piccolo di te! – asserii, costatando come i suoi marroni risultassero nel mio palmo ben più grossi di quelli tastati a Luca nel pomeriggio.
    – Già! – pronunciò anche lui, tutto convinto, rimirandoselo allo specchio orgogliosamente da tutte le angolazioni. Dopo tutto, se quello là era già più carino, più divertente e più furbo di lui, almeno da una parte doveva pur batterlo: e dove, se non lì, per pareggiare tutti i conti in una volta sola? E poi, altrimenti, sarebbe stato troppo perfetto!

    Rincuorato il mio piccolo tredicenne nelle sue rivalità genitali, ora, a letto, gli avrei chiesto di ricambiare quel favore che ieri e oggi non aveva ancora saputo adempiere. Mi girai verso lui per abbracciarlo, ma una mano finì nelle sue mutande. Oddio, s’era bello!
    Continuai a strofinarlo e a manipolarlo, sentendolo ansimare nella notte, mentre la pioggia e la poca luce soffusa rendevano un po’ tutto il nostro piccolo privé. Ma stava diventando veramente difficile continuare a fare quello che stavamo facendo sotto il caldo opprimente delle lenzuola, così le levai; tanto fra noi maschi era abbastanza facile continuare a farlo, pur rispettando le prescrizioni paterne: eravamo piuttosto pratici, noi! bastava tirar giù quel tanto che serviva e continuare a darci piacere, altro che con le ragazze… Poi scesi sul suo bel funghetto a leccarlo dalla base fino alla cappella: – Adesso, però, tocca a te finire…
    Robertino si portò su di me, iniziando a masturbarmi, ma io non resistevo.
    – Dai, inizia! – Lo prese in bocca, ma senza scoprirlo. – Ma che fai? Stupido! devi scappellarlo!
    – E… ma io non so come si fa…
    – Come non lo sai?! – E oggi pomeriggio… – Dai, stenditi che ti faccio vedere! – ma la verità è che non vedevo l’ora di riaverlo in bocca.
    Gli levai in un sol colpo pantaloncini e mutande. – Queste non te le voglio più vedere, a letto! –, poi lo ripresi col pugno riverso, e iniziai a mulinarglielo. Quel cazzo di tredicenne, secondo me, l’aveva fatto apposta per farselo toccare ancora, dal gran che se la godeva; ma adesso gliel’avrei fatta vedere io!
    – Allora… per prima cosa, deve stare scoperto! – glielo scappellai violento, – perché altrimenti come fai a venire? In fondo, è come se stai con una ragazza! Quindi devi stimolarlo di conseguenza… –, e mi precipitai con la bocca, ficcandomelo il più possibile e andandoci su e giù una decina volte: ben più di quanto sarebbe servito per una semplice pratica dimostrazione; ma fermandomi prima di farlo venire. – Ora, però, fai te! – dissi, strizzando quel cazzo e controllando se fosse di quella stessa sezione immaginata per Luca.
    Robertino ritornò su di me, riprendendolo in bocca. – Oh… sì! dai! –, sembrava aver capito. Gli presi la testa tra le mani, ma presto non la sua testa mi ritrovai, ma quella di quel biondino, e la sua chioma. Oh, sì! finalmente… c’ero! Stringevo più forte quella cavezza bionda, come quella luce in fondo al tunnel dell’orgasmo: eccola là, era meravigliosa! ed io lì lì per lambirla! Ma poi s’allontanò: progressivamente incominciò ad allontanarsi… perché mi respingeva? quell’attimo sublime... Anche Robertino si accorse che qualcosa non andava: che non venivo; e più continuava la sua inutile suzione, più assomigliava a una disperata rianimazione.
    – Robby, lascia stare… – gli dissi, per farlo desistere; poi lo riaccompagnai a sedere accanto a me, col suo pene che ancora reclamava la mia partecipazione.
    Mi tirai su le braghine; anche lui se le cercò, ma io lo fermai: ci avrei pensato io, o lui si sarebbe rimesso pure le mutande. Gliele infilai alle caviglie, su fino alle ginocchia, poi lui le chiuse per farmi proseguire, ma mi fermai davanti alla sua vigorosa erezione. Era così fungina… e così inappagata: tutta quella sborra in corpo, sapevo che sarebbe stata per lui come un veleno che non l’avrebbe lasciato dormire; mi avvicinai con la bocca…
    – Aspè… – mi fermò: – Io non te l’ho finito…
    – Sì… ma… – il problema è che io volevo farlo – ….sei troppo eccitato, dopo magari mi vieni nel letto mentre dormi.
    – Che…
    – La polluzione… l’hai detto tu che ti capita!
    – Boh…
    – Beh, meglio non fidarsi… – e me l’infilai ugualmente. Cavolo, quante difficoltà per un pompino? Che non riprovare come sarebbe stato con una ragazza? In fondo era per questo che lo facevamo, no? mica per altro… anzi, io piuttosto avrei dovuto iniziare a preoccuparmi: se facevo tanta fatica con lui, come avrei fatto a venire quando sarei stato con una ragazza? Problema che di certo lui non aveva…

    ***



    Non riuscivo a dormire: abbracciavo Robertino e tenevo tutto il suo sesso nella mia mano, come una conchiglia, ma non riuscivo a dormire: quando chiudevo gli occhi continuava ad apparirmi davanti quel suo dannato costume rosso, che nulla lasciava all’immaginazione, ma tanto alla fantasticheria…
    Andai in bagno per pisciare, ma, anche seduto, non riusciva ad uscir fuori niente, con quell’erezione; mi sedetti sul bidè. Afferrai il mio uccello, immaginandomi di masturbare quello di Luca, perché se nelle mie speranze lui ce l’aveva più corto di Robertino, nelle mie fantasie io sapevo che l’aveva più lungo… lungo! …lungoooooo!
    Mi ritrovai di nuovo io e lui solamente, su quel lettino, in quella spiaggia deserta, con lui che mescolava le carte ponendosele davanti. E mi dice: “Sega!”
    “Cosa?”
    “Volevo dire: Taglia!”, mi sorrise.
    “A sì?”, scivolai giù dal lettino, accanto a lui, “Secondo me, ho capito bene…”, liberai il suo lungarnese, che sopravanzava di molto il mazzo di carte, “e ora io taglio… e sego!”, cominciai a menarglielo in mezzo ai due mazzi: perché neanche nelle mie fantasie ero degno di toccarglielo!
    “Complimenti, è veramente molto bello! ma davvero non l’hai mai usato con le ragazze?”, il mazzo incominciava a sfaldarsi tra le mie dita.
    “Però bisogna incominciare ad usarlo!” oramai lo menavo solo tra due carte, ma lui venne, assieme a me: lui sul lettino e carte, io nel bidè.
  12. .
    Come comincio... l'incontro

    Che caldo per essere di primo mattino… e anche il rumore di fuori per strada era insolito per l’ora… abbracciai Robertino come fosse una consumata usanza di buon auspicio, ma il caldo asfissiante me lo fece subito mollare. Diedi un’occhiata al suo orologio: erano le dieci! ecco il perché tutto quel trambusto. Ma mio padre dov’era? Doveva già essersi alzato, eppure non lo sentivo: ma il suo letto era rifatto e una scodella giaceva già riversa nel lavandino mezza risciacquata.
    Tornai da lui. Finalmente questa mattina gli avrei dato il buongiorno che volevo: speravo solo che non si sarebbe svegliato ancora una volta con la luna di traverso. Ma che era quella strana cosa ai piedi del letto? La raccolsi: eran le sue mutande! Quelle che ieri sera avevo bandito per sempre dal nostro talamo di lussuria. Le annusai, per capire se ne conservassero l’odore, e poi, stupidamente, le misi controluce per vedere se ne serbavano anche la forma… ma ne conservavano solo l’aroma, ma non l’impronta; ma perché accontentarsi solo di quel fetido feticcio quando là sotto m’attendeva tutto il resto? Le ricacciai di nuovo sotto al letto in castigo e scivolai con lui sotto le lenzuola, ad abbracciarlo e a ghermirlo al suo bel malloppino, strafugnadolo tutto, bel bello, sotto il velo azzurrino del pigiama. Mmm… che goduria! Sembrava d’impastare un panetto di pizza, lasciato sotto il canavaccio a riposare (l’avevo fatto veramente, perché mi avevano detto che era come tastare una tetta!); e stava già lievitando!
    Robertino si svegliò, stranamente sorridendo a quello che stavo facendo.
    – Dai, che facciamo colazione! Mio padre è già andato… – gli dissi, per rassicurarlo di potersi alzare tranquillamente, nonostante l’evidente erezione nei suoi pantaloni.

    Misi del latte a scaldare sul fuoco, mentre Robertino stava apparecchiando la tavola col suo tenero bugnoncino che tremolava, ad ogni suo passaggio, bel libero di muoversi, sotto i pantaloncini, senza l’impiccio delle mutande; e lui si accorse del mio indiscreto guardare, e mi passò deliberatamente accanto, strusciandosi un pochettino: non gli detti neanche il tempo di posare in tavola le posate che lo brancai da dietro con una mano sul petto e l’altra sul pacco. Oddio, che bello, a petto nudo, stringere un altro ragazzo e il suo intero sesso! L’aria stava frizzando letteralmente dei nostri ormoni in subbuglio, spingendoci a esplorare i più reconditi meandri della nostra sfrenata libido, ma lo sfrigolio del latte attirò la nostra attenzione.
    Spostai il bricco del latte sul tavolo, per evitare che bruciasse; e quando mi rigirai (per prendere i cornflakes) lui era già lì che ci intocciava il dito dentro, adunghiandone una pellicina col dito: – Guarda! Non sembra sborra… – mi disse, con un sorriso da vero idiota.
    Io pensavo fosse una proposta: – Lo voi fare? – gli dissi, tirandolo fuori. Ma lui non capì: – Sborriamo nel latte!
    Il pensiero dovette particolarmente stuzzicarlo, perché subito iniziò a darci dentro, menandomelo con foga: sembrava una gara tra lui e la mia anorgasmia. Presto, però, mi accorsi che anche stavolta saremmo andati per le lunghe, se non fossi intervenuto io, a indicargli il giusto ritmo. Speravo solo che finalmente capisse che ogni pene non è come tutti gli altri, e che non poteva continuare a trattarli tutti quanti allo stesso modo: come fossero il suo; ma che ognuno ha la sua forma, la sua anatomia. Il mio, per esempio, era più lungo, più curvo, e più affusolato del suo; e quindi doveva imparare a tenerlo, a seguirne la forma, a darci il giusto ritmo: solo così avrebbe potuto ottenere ciò che voleva!

    Roberto guardava con soddisfazione i miei reflui biancastri addensarsi nel fondo nella scodella, quasi si fosse tolto un atavico sfizio; ma non gli detti troppo tempo per ammirare il frutto del suo lavoro, perché quella prua azzurrata nei suoi pantaloni reclamava la mia partecipazione. Liberai quel pennone, mi misi dietro a lui e posizionai una scodella davanti; e lui mi guardò strano.
    – Eh… io nella tua e tu nella mia! –, mica eravamo autofagi!
    Certo che da quella prospettiva faceva una certa impressione: sembrava quasi impossibile che un cinnazzo del genere potesse avere un lavoro così… era veramente gustoso da tenere in mano, mentre con l’altra gli afferravo i coglioni per possederlo completamente. Incredibile come ad altri ragazzi potesse far schifo menare un altro maschio!
    A un certo punto, incominciai a sentirlo muoversi, come meccanicamente, di bacino, quasi fosse programmato inconsciamente per imitare una copula… con una ragazza? così mi appoggiai a lui per fargli sentire la mia erezione, accompagnandolo in ogni movimento, finché in uno spasmo inarcò la schiena e di due o tre schizzi riempirono la tazza: ma c’era qualcosa di più eccitante di vedere una grossa cappella sborrare?

    Robertino fissava ora perplesso quel migma di latte e d’umori maschili che andavo mescendo colando dall’alto il latte fumante nella sua tazza; in effetti, ora ch’eravamo entrambi venuti non sembrava più una così grandiosa come idea… Ma buttare, così ignominiosamente, il nostro fiero prodotto giù per lo scarico del lavandino mi sembrava anche davvero un grande spreco: così toccò a me rompere ogni indugio e affondare per primo il cucchiaio in quell’intruglio, e ingurgitandone il primo boccone. E sapeva… sapeva semplicemente di latte, e basta!
    Tirammo entrambi un sospiro di sollievo. E noi che ci immaginavamo chissà quali strani sapori… ma dopotutto era logico: per quanto a noi potesse sembrare abbondante la nostra frazione di sperma era comunque nulla rispetto a tutto il latte versato.

    ***



    Prima di andare in spiaggia, rindossai i miei occhiali da sole ritrovati chissà da quale parte ancora fuori dalla sera prima. E anche lui volle indossarne un paio, ma i suoi erano veramente da bamboccio!
    Incredibile come riuscivamo ad andare a testa alta tra la folla, nonostante quello che avevamo appena fatto: se solo loro avessero saputo… due adolescenti maschi, fra loro, che avevano fatto quello che avevamo appena fatto; proprio vero che delle volte un paio d’occhialini da sole non sono solo un paio di due lenti scure che ti proteggono dalla luce del sole, ma un vero e proprio schermo che t’aiuta a guardare al mondo con sfacciataggine.

    Sotto l’ombrellone mio padre non c’era… strano! e dire che per la settimana aveva già comprato tutto ieri sera, e oggi si sarebbe dovuto godere la spiaggia come piaceva a lui: con un quotidiano la mattina e poi riposo fino a sera.
    Annoiato, mi buttai sul lettino, lasciando cadere le braccia al suolo, a carezzare la rena morbida della spiaggia tra le dita; mentre lui si era messo a farci polpette di sabbia: se gli avessi dato paletta e secchiello, scommetto che ci avrebbe fatto un castello! Paradossalmente, la nostra riconciliazione, togliendoci via ogni pungolo vendicativo, ci aveva tolto anche ogni impulso d’iniziativa, e quell’unica cosa che ormai riusciva a darci la carica non potevamo di certo farla in mezzo alla spiaggia. Finalmente di lontano vidi una sagoma famigliare di ritorno dal mare, accompagnata da altre due non proprio sconosciute: una più alta e imponente, ma dal passo affaticato, e un’altra più agile ma tappa. Doveva essere entrato in chiacchiera con qualcuno degli ombrelloni vicini: lui riusciva sempre ad amicarsi qualcheduno… avessi avuto io questa sua stessa qualità, avrei avuti molti meno insuccessi sociali.
    – Oh… eccoli qua i miei nottambuli!
    – O via, son giovani! – disse uno toscaneggiante: – Se non lo fan loro alla loro e… –; oh, nooo... quei soliti discorsi da vecchio! volevo di già morire o almeno finire in un coma profondo.
    Intanto quell’altro coso, messosi controluce, ci guardava interessato, cercando come d’intravedere dagli occhiali i nostri sguardi. Non si vedeva bene, ma sembrava il classico ragazzetto mingherlino delle medie: forse d’un’età maggiore di quella di Robertino, ma non certo della mia (dalla statura, l’avrei detto un primino); e indossava un paio di pantaloncini rossi, corti e bordati di bianco, che cozzavano vistosamente col biondo, ora, eccessivamente indorato dal sole alle sue spalle.
    – Luca… – disse il nonno: – perché non vai coi tuoi amici a giocare …che io e il signore dobbiamo parlare? –; e ubbidiente sparì.
    Alè! già amici eravamo… alzai gli occhialini per guardare mio padre: «Prima questo, ora quello?» volevo dirgli, ma non mi filò per niente.
    Sparì, parì davanti ai miei occhi con un enorme pallone in mano (quasi un pantagruelico mappamondo recato come in dono), ma la cosa che più mi stupì m’apparve sotto di quello: un malloppo d’inusitate proporzioni tutto compresso in un costumino fantasia, a tinte varie (blu, verdi, marrone, rosse, mescolate in un caotico frattale), che a stento lo conteneva. Ogni voce, ogni rumore divennero per un attimo soltanto un inutile sottofondo, e la spiaggia d’intorno solo un’irrilevante cornice con tutti i miei sensi univocamente volti verso quell’unico arnese… che quasi avrei voluto averci i raggi x per guardarci attraverso!
    Mi risvegliai da quell’incanto, soltanto quando la sua voce mi chiamò: – Andiamo?
    Aveva qualcosa d’ammaliante quel ragazzino gentile che, come il pifferaio magico e il suo magico piffero, mi stava attirando verso l’area sportiva. Avevo Robertino di fianco (ma per me fu come se non ci fosse!...), mentre lo seguivo, sempre fissandone il costume, ora da tergo (ma io sempre quell’immagine davanti avevo!), finché non ricevetti una gomitatina sul fianco: – Oh! – mi fece; ma io subito mi rifissai sulla sua schiena.
    Aveva un incedere regale ed elegante, mentre avanzava con le fughe delle piastrelle che scomparivano, come inghiottite, dietro il profilo importante delle sue spalle maschie, per poi ricomparirmi in vista alla vita, riattirando la mia attenzione di nuovo su quella parte di lui, e le sue fossette apollinee. Qui vi dipartivano, pari a colonnette, come due fasci muscolari ai lati della colonna, assecondando la sensuale inarcatura delle sue reni sottili, che poi s’aprivano verso l’alto per lasciar spazio alle sue scapolucce alate, da cui sembrava promanarsi come un fluido magnetico d’energia pura, che avrei voluto appropriarmi ponendovi le palme sopra. E poco più su, i suoi peletti biondi sembravano fare, sulla pelle più ambrata, come una lanuggine dorata, che saliva lungo la cervice, e a tratti compariva anche su bracci e avambracci, e cosce, e polpacci.
    Giunti al campo – un mezzo campo, per la verità –, tutto in piastrelle di cemento, come la passerella, mi sedetti sul fondo, vicino al palo che vi portava sopra il canestro, seguito da Robertino.
    – Voi non giocate? – ci domandò con tono curioso.
    – No, siamo stanchi: ieri abbiamo fatto tardi! – risposi, e Roberto mi annuì di fianco: come se avessi rivendicato un noi vs. un lui, che lui condivideva; ma la verità è che avevo paura… paura di sfigurare. Non so perché: non ero mai stato bravo a canestro, ma mai neppure me n’era più di tanto importato, eppure davanti a quel ragazzetto mi sentivo a disagio, come se dietro quella inerme fisicità si nascondesse chissà quale valanga di doti e qualità pronta a travolgermi.
    – Allora gioco un po’ io… – ci chiese quasi permesso, poi cominciò. Partiva dal fondo, correva, scattava… sembrava scontarsi contro un’orda titanica che abilmente dribblava, e io non potevo far altro che rimanere lì ad ammirarlo muoversi agilmente per il campo. Aveva una bellezza da mozzare il fiato, che un pittore rinascimentale l’avrebbe scelto a modello per dipingere i puttini: a cominciar da quel visino perfetto, pulito, privo di precoci segni d’invirilescenza a deturparne la cera, ma comunque maschile; e quel caschetto poi… mi stava facendo perdere la testa, perché non ne capivo il colore: era un biondo, non platinato o ramato, ma aurato, e variegato di mille sfumature da un più castano o cinerino in profondità, dov’eran più folti, a un più oro o luce in superficie, quasi a contornare la buffa rotondità della sua carinissima testolina, che scartava, saltava, tirava… e canestro!
    – Uooh! …ma sei bravissimo! – m’esaltai; e lui: – Grazie! – mi disse sorridente, catturando il pallone fra le mani.
    – Ma fai basket?
    – No, aikido.
    – Ehhh…?
    – Arti marziali… – spiegò, ma io non ci avevo capito un cacchio, rapito com’ero da quel coso riapparsomi davanti, come per incanto; poi riprese.
    – Ma che scuola fai? – gli chiesi, alzando la voce per farmi sentire in mezzo al campo e perché palleggiava.
    – Io?... – s’indicò: – La prima! – palleggiò: – …cioè, quest’anno devo andare alle superiori – e tirò.
    – Ah, quindi hai quattordici anni…
    – Sì! – riprese la palla: – Beh… in realtà li faccio tra qualche giorno… – ammise.
    – Beh, allora… auguri!
    – Grazie!
    – Quindi hai appena fatto l’esame? – l’interruppi mentre stava per ritirare.
    – Eh… sì – mi rispose un po’ perplesso. Ma che scemo! Certo che l’aveva appena fatto: me lo aveva appena detto!
    – E con quanto sei uscito?
    – Ottimo! ovviamente… – riprese la mira e tirò, facendo di nuovo canestro; ma quell’ovviamente continuò a rimbombarmi per la mente, come un’eco a ogni rimbalzo della palla, facendomi sentire stupido: ma come potevo, io, anche solo pensare che uno come lui potesse esserne uscito con meno, magari con “distinto” (neanche “buono”!), dando anche solo un minimo segno d’imperfezione?
    – …e adesso dove andrai? – tutto volevo sapere di lui!
    Si fermò, un attimo, in posa plastica per il tiro e, con uno strano sorrisetto sulle labbra, tirò; – Al *****! – disse.
    – Eh!?... – ma come faceva lui a conoscerlo? Intanto Robertino mi guardò per quel mio strano verso: – È un liceo delle mie parti… – gli spiegai. In realtà, proprio il rivale del mio. Ma lui come poteva dar per scontato che io lo conoscessi, facendone il nome? Evidentemente mio padre aveva parlato di me: fin troppo! e ora mi conveniva giocare come se fossimo entrambi a carte scoperte per non far la figura del frolloccone: – …e perché proprio quello? – chiesi.
    – Perché è il migliore! – tirò con fare da vero fico.
    – Non è vero: il mio è meglio! – replicai, sorridendo.
    – Ma io mica voglio fare latino e altre cose del genere…
    – Ma ve’ che non le faccio nemmeno io: lo sperimentale c’è anche da me!
    – Boh, vedrò… – scandì fatalistico – …in fondo non è detto neanche che resterò qui! – tirò di nuovo a canestro.
    – Cioè?
    – Cioè, che forse andrò a scuola in Inghilterra…
    – Ah! – quella notizia mi lasciò l’amaro in bocca (o un tuffo al cuore? ancora non capivo…): e io che mi figuravo già d'incontrarlo per strada, facendo fuga con gli amici (non l’avevo mai fatta, ma si poteva sempre cominciare!), e di salutarlo dall’altro lato dalla via con loro che si chiedevano chi fosse mai quell’ammaliante biondino dal personalino così magnetico e, soprattutto, perché uno come me conoscesse uno come lui. Ma lui ci aveva degli zii in London… che lo avrebbero ospitato: perché lui ci aveva vissuto sette anni …o i primi sette anni della sua vita? (ma che differenza faceva?) …quindi conosceva bene l’inglese; ma tutto dipendeva se suo cugino stava bene, perché doveva essere operato, se potevano ospitarlo… – quindi, alla fine, magari, finisce che finisco nella tua… – mi fece l’occhiolino, andando nuovamente a canestro.
    – Ma siete cugini? – ci chiese.
    – Ma chi… io e sto qui? Ma scherzi…! Ma non siamo neanche parenti! – lui sorrise, ma Robertino mi squadrò male.
    – E fino a quando state qua?
    – Mmm… domenica. Tu?
    – Dopodomani.
    – Però, resti poco…
    – Eee… ma poi vado in Egitto.
    – Bello! Regalo per l’esame?
    – Mm! tipo… – nicchiò: – raggiungiamo mio papà.
    – Chi? – magari aveva una ragazza.
    – Io, mio nonno e mia mamma.
    – E lui è già là?
    – Sì.
    – Lavora là? – ma mi accorsi dal suo sguardo che stavo esagerando con le mie domande, così mi zittii.
    – Ma è stato difficile? – chiese Robertino d’improvviso, con noi due che lo guardammo come si potrebbe guardare una statua che improvvisamente si mettesse a parlare. – L’esame… è stato difficile? – ripeté.
    – Beh, per me no...
    – Ma cosa ti han chiesto?
    In quel momento, nei suoi occhi si poteva vedere tutta la consapevolezza per i patemi che ora stavano passando nello sguardo di Robertino, così incominciò a raccontargli una serie di balle tali, palesi assurdità e leggende metropolitane che non era possibile credergli, neanche se continuava a chiamare me ogni volta a testimonio; e infatti comprensibilmente alla fine Robertino sbottò: – Balle! – disse: – Tutte balle!
    E lui: – Beh, allora non credermi! Ma poi non dire che te l’avevano detto… –; poi, facendosi in avanti minaccioso con la palla, – Buh! – gli fece, mentre Robertino chiuse gli occhi per paura che gli finisse in faccia, e s’allontanò, palleggiando, verso il centro del campo. Oramai era palese: quei due non si stavano simpatici. Da quel momento, poi sembrò ogni tanto come a venirci incontro, per poi deviare all’ultimo, quando Robertino richiudeva gli occhi, e andare a canestro. Poverino, un po’ mi dispiaceva per lui, ma dove rassegnarsi: perché oltre a essere il più piccolo di tutta la compagnia era anche il meno sveglio, e quindi il bersaglio ideale per due adolescenti che dovevano fare conoscenza alle spalle di qualcun altro. E io, intanto, ne profittavo per guardarlo correre per il campo, cogliendone ogni dettaglio: quand’era lontano, della sua figura intera, caratterizzata da quella sana magrezza adolescenziale di un fisico asciutto e snello dalle membra sottili e il tronco longilineo, e, quand’era vicino, delle sue prominenti pudenda; ma dovevo stare attento, perché già più d’una volta, mentre s’avvicinava, distogliendo all’ultimo lo sguardo, avevo incrociato il suo che sembrava dirmi: “Beccato!”

    ***



    A pranzo, mio padre ci sorprese chiedendoci cosa ne pensavamo del nuovo ragazzo appena conosciuto, che, a quanto pare, a lui stava piuttosto simpatico (affermazione per nulla condivisa da Robertino). Ma forse lo capivo: dopo Robertino, voleva cercare di rimediare trovandomi una compagnia più vicina alla mia età, e questo lo apprezzavo, ma almeno avrebbe potuto stare zitto su certe cose su di me.
    – E sai di dove sono? – disse tutto stranamente entusiasta.
    – Sì, l’ho capito che sono delle nostre parti…. – a quanto pare, proprio d’un paese vicino, a pochi chilometri da noi; ed erano anche una famiglia piuttosto nota (tranne che a me) dell’imprenditoria locale. E, mentre me lo diceva, gli si illuminavano gli occhi, come a una scolaretta trasognata…; e poi l’adolescente “stralunato” ero io! Comunque, alla fine, tornò tutto come prima.
    – Ah, dopodomani potremmo andare all’Italia in Miniatura, ho pensato… – in realtà, era già tutto deciso.
    – Ma perché?! – brontolai.
    – Perché?
    – Ma ci siamo già stati…
    – E allora?
    – Che due… – gli feci capire.
    – Alle, non puoi pensare soltanto a te… – guardò Robertino: – e poi t’era piaciuta.
    – Sì, quattro anni fa… – e che… sempre dodici anni avevo!? – e poi c’erano anche tutti gli altri!
    – Beh, se è questione di numeri, chiamate anche quell’altro ragazzo… no?
    – Mmm… grand’idea… – papa! – …e comunque: primo, giovedì parte; e poi mica posso andar là e chiederglielo così… – «Scusa, verresti con me, mio papà, e quell’altro sfigato, a un parco giochi per mocciosi?»: veramente molto figo!
    – Ma perché? Chi te lo impedisce? Alla tua età… – blablablà… blablablà… insomma, lui aveva deciso, e, come per Robertino, giovedì saremmo andati: quando si dice l’incomunicabilità intergenerazionale!

    Uscii sul balcone per non litigare: non un’altra volta! E forse guardare quell’orizzonte lontano, quell’ultimo infinito bagliore d’azzurro m’avrebbe calmato. Ma perché faceva così? proprio non lo capivo… e perché io mi sentivo cosi? Lui, in fondo, voleva soltanto aiutarci, impegnandoci una giornata in cui altrimenti, per lui, non avremmo saputo cos’altro fare; anche se io quel pomeriggio, non so perché, avrei preferito passarlo con quel ragazzino, prima che partisse per l’Inghilterra… per sempre.
    Rientrando, trovai Robertino stravaccato sul divano, aperto come una stella marina per dissipare più calore possibile. L’impudenza di quella postura m’attirò subito l’occhio sulla sua patta ricoperta di giallo, resa ora ancora più evidente dalla maglietta leggermente alzata. Ci fu solo un fugace scambio di sguardi tra noi, col suo sembrava al contempo un monito a provarci e a non azzardarmici: probabilmente ancora indispettito per il mio comportamento di prima, e di questa stamattina.

    Mi stavo indispettendo: era già un quarto che se ne andava avanti e indietro per la stanza, eppure aveva già tutto finito. E anche Robertino si stava indispettendo. Sembrava che lo facesse apposta per impedirci di fare quello che volevamo fare: giuro che se entro un quarto d’ora non se fosse andato a letto gli avrei gridato dietro!
    Finalmente si ritirò in camera, poi in bagno, e quindi di nuovo in camera sua. Mi alzai per controllare che la porta chiusa veramente (non volevamo di certo brutte sorprese…), e poi tornai da Robertino con la mano a carezzare il ginocchino. Lui s’irrigidì; salii con la mano lungo la coscia fino ad arrivare all’orlo del pantaloncino, ma non riuscendovi ad andare sotto. Mi buttai sotto alla sua maglietta: era già tutto un pezzo duro di carne! Liberai il suo manganello, iniziando a menarlo, e lui gemette; lo ritarai per quello verso la fine del divano, per stravaccarlo meglio, e liberai anche il mio.
    – Prendilo! – gli dissi, mettendomi anch’io come lui.
    Eccoci lì, nuovamente fieri membri del Club della Mano Incrociata. E certo che il suo gli era davvero gagliardo! Ma non poteva competere con me, specie ora che erano ben allineati; anche se quella cappella faceva davvero impressionante, soprattutto ora che la scalpellavo per bene, non solo fino alla corona, ma anche sotto, oltre il collo e il solco balanico, mettendone così ben in evidenza lo stacco, e quindi la forma fungina. O mamma, che voglia d’averlo ancora in bocca: sentirne la bocca piena, le labbra attorno all’asta, l’ardore, il sapore, ora che era lì a pochi centimetri da me. Ma no! no! non potevo essere ancora io quello a prenderlo in bocca, senza che lui prima… almeno una volta! Gli posai così le labbra a stampo sulla liscia cappella, e poi mi sollevai, facendogli segno d’accomodarsi: ora toccava a lui!
    Lentamente, titubante, s’avvicinò, aprendo di poco la bocca: forse si aspettava di potersela cavare con un semplice bacino, ma io lo spinsi giù, premendolo sul coppino. Lui oppose resistenza, poi mi guardò come a chiedere spiegazione; ma non sembrava contrariato.
    – Ehhh… adesso tocca a te! – gli dissi: in fondo la mia sborra l’aveva già provata stamattina, ora toccava a tutto il resto.
    Oooh, finalmente il mio primo pompino! Sentivo il suo alito caldo soffiarmi sulla nuda cappella, anche se lo sentivo un pochetto imbranato: indeciso se andare su e giù o se succhiarmelo e basta. Chiusi gli occhi per godermi meglio quel pompino, immaginandomi qualcosa d’eccitante, ma l’unica cosa che mi veniva in mente, era il costume di quel biondino questa mattina… chissà lui come ce l’aveva? E quante ragazze l’aveva già messo dentro! Doveva essere perfetto anche lì: con una banana Chiquita da dieci e lode, lungo almeno come il mio e con una cappellaccia come la sua; così che quando le penetrava, non solo le percorreva per bene fino in fondo, ma le slargava anche tutta la figa, facendole godere a morte! Contrariamente a me che, invece, non godevo un cazzo! gli avrei dato un crucco sul coppino, talmente mi faceva rabbia vederlo lì inconcludente; ma, in quel momento, sentii un «ehi!» provenire dalla strada: era lui! era lui!
    Mi precipitai sul balcone, mettendo bene tutto dentro per non farmelo vedere, e m’affacciai dalla ringhiera: e un ragazzino biondo percorreva la via in direzione del mare, dopo aver appena salutato qualcuno alla sua destra.
    Avrei potuto gridargli qualcosa, ma corsi subito dentro, inciampando sulla soglia proprio davanti a lui, che stava ancora lì immobile sul divano: – Presto! Muoviti! Che fai ancora lì?– gli gridai, prendendo il mio zaino, e anche lui si mosse.

    ***



    Eccolo là quel biondino, seduto sulla sua sediola, rannicchiato con le gambe raccolte e la testa, rotonda come quella del mio gatto, chinata a leggere il suo fumetto; e indossava qualcosa di rosso come questa mattina, ma era diverso: era più scosciato… indossava un costume, rosso!
    – Ehiiiii! – gli gridai da lontano, mentre Robertino sbuffò.
    – Ah! Siete già qua… – ci accolse con un misto tra l’incredulo e l’aspettativa.
    – Sì, non avevamo niente da fare! – intanto Robertino s’appollaiò sotto il nostro ombrellone.
    – Giochiamo un po’ a carte? – disse.
    – Sì! Vieni da noi.
    Sistemai ben tutto sotto all’ombrellone: la sdraietta di Robertino e il lettino per noi due, che avrebbe funto anche da tavolino.
    – Ho solo queste… van bene? – s’avvicinò con un mazzo di vecchie piacentine.
    – Oh sì, van benissimo! Io le altre non le capisco proprio! – in realtà, avevamo in gruppo proprio uno che collezionava di mazzi di carte da tutte le regioni, quindi le conoscevamo un po’ tutte: ma, per me, le nostre, erano le migliori!
    Si sedette su un lato, salendo con una gamba leggermente sulla branda: io, inizialmente, pensavo che si sarebbe messo compostamente come me, all’indiana, e invece scivolò con la gamba per tutto il lettino, fino ad accavalciare l’intera branda, facendomi un’«aperta», che – giuro! – sarei voluto morirgli lì in quel momento, proprio con la faccia fra mezzo alle gambe.
    Che io ricordi, in quella posizione ci mettevamo soltanto verso gli undici-dodici anni, quando, esaltati per i nostri “pacchi” pre-pubelali – ancora ignari d’esser soltanto all’inizio di quello straordinario percorso che ci avrebbe portato ai nostri attuali lavori –, volevamo farne bella mostra davanti ai tutti gli altri astanti, per noi rimasti ancora bimbetti, e procedere anche a un impacciato quanto mal occultato raffronto con gli altri; ma lui, invece, sembrava non curarsene affatto: neanche si appoggiò il mazzo davanti, chiedendomi di tagliare.
    Allungai la mano vergognoso come un ladro, sembrandomi quasi d’allungarla per andarglielo a toccare: anche se la tentazione di sorvolare e di andare oltre era davvero tanta… ma poi che ci avrei fatto una volta preso? Se l’avessi poggiato in avanti, seguendo il naturale prosieguo della mano, sarebbe sembrato quantomeno un poco ardito come gesto, e se invece l’avessi appoggiato all’indietro, sarebbe sembrato che fuggissi con la mano, tradendo così d’averci pensato: ma la prima fu, non sfiorandoglielo per un pelo.
    Ma lui raccolse le carte e distribuì. Oh, come avrei voluto in quel momento esser soli io e lui sulla spiaggia, col suo coso duro tra le mani, avvolto da quello straccetto rosso, pregandolo di potergliene toccare un pezzettino a pelle nuda, lì all’inizio, inforcandoglielo tra le dita…
    – Tocca a te… – mi dissero.
    – Ah… sì! – mi ero incanto nuovamente. E per fortuna che per giocare non dovevo neanche seguire il gioco veramente, perché tanto ci pensava Robertino a favorirmi spudoratamente, scartandomi le carte che mi servivano, anche se ogni tanto quel cretino si dimenticava che a ogni turno cambiavamo anche giro, e quindi capitasse che dopo di lui non ci fossi più io, ma il suo avversario. Ma intanto a me bastava poter continuare a giocare guardando verso il basso, con le carte tenute appositamente in modo tale che il loro bordo mi risultasse appena sotto la linea di costa di quel rosso promontorio della paura, così per poterlo guardare senza farmi beccare, anche se forse tenevo il gomito un tantino troppo alzato per non risultare sospetto. Proprio non capivo come potesse il suo costume essere solcato completamente, dall’alto in basso, dai maroni fino all’elastico: mi pareva che ci avesse come una specie di lago di Garda, sbalzato in rilievo (confuso ricordo di una cartina dalle medie), che già un mio compagno aveva fatto notare come assomigliasse maliziosamente a un fallo stilizzato con le balle in basso e la verga verso l’alto. Oh, cavolo… ecco come faceva! lui, a differenza di me e di Robertino, lo portava verso l’alto… dunque quell’immane bozza era tutta una truffa… stasera avrei controllato su Robertino!

    Verso metà pomeriggio, forse per la noia, forse per il torpore, si buttò all’indietro con le spalle, a stiracchiarsi e sbadigliare: – Oh, mamma che sonno! –; e io intanto stavo diventano rosso per la vergogna con quel coso sbattutomi sotto la faccia, temendo che qualcuno potesse vedermi di passaggio. – Allora, che facciamo? – ci chiese, tornando su.
    – Andiamo un po’ in acqua?
    – Sì! – risposero in coro, ma prima dovevamo spalmarci.
    Ognuno tornò al suo ombrellone. Dovevamo sembrare dei pinguini impiastricciati ed impacciati, poiché non è virile farsi spalmare da qualcun altro la crema, anche dove non puoi arrivare: meglio fare la contorsionista bulgara, come stavo facendo io.
    – Pst… – mi sentii chiamare alle spalle. – Vieni qua! – mi chiamò al suo ombrellone: – Vuoi una mano?
    – Sì… – «grazie» avrei voluto dirgli, ma mi strappò il flacone di mano.
    – Eee… Alessandro, vero? – mi domandò con imbarazzo conferma del mio nome.
    – Sì.
    – Alex?… – ci provò…
    – No! Solo Alle: tutti mi chiamano così! – e io solo così volevo essere chiamato. – E tu… Luca? – fino a quel momento, non mi ero neanche reso conto che non c’eravamo mai nemmeno veramente presentati.
    Finiti i convenevoli, mi girò e incominciò a spalmare. Oddio, ma quello non era uno “spalmamento”, ma un massaggio vero! Sentivo le sue mani passarmi vigorosamente sulla schiena, e non lesinare di passare e ripassare neanche dove erano già ripassate; nemmeno dove non batteva il sole, come sotto l’orlo del mio costume. Avrei voluto stare lì in eterno, ma un vocino inacidito ci sollecitò dall’ombrellone vicino: – Allora, andiamo?!
    – E vamos! – gridai, ma giunti all’acqua…
    – Ah! la palla… Robby, valla a prendere!
    – Uffa!!!…
    – Ma dai vai: è nella tua sacca!… – e poi, secondo lui, l’avrei lasciato da solo con Luca? Che, non la conosceva la storia di come traghettare dall’altra parte del fiume capra, cavolo e lupo, vivi e integri?
    Io e Luca, intanto, entrammo. L’acqua era un brodo, ma come, prima o poi, capita a tutti noi maschietti raggiungemmo il livello…
    – Aaaaaahh! aaaahh… – fece lui, dovendo far vedere d’avercelo… e bello grosso!
    – Ma dai… – gli schizzai in faccia. Lui allora mi rincorse; iniziammo una giocosa lotta come due granchi sulla spiaggia, chele al cielo, cercando di buttarci in acqua: oooh, come avrei lasciarmi andare, per farmelo finire addosso e affossarmi insieme a lui, sentendo quei suoi acerbi pettoralini e i bozzetti addominali sulla mia pelle nuda.
    – Ehi, voi! – ci berciò qualcuno dalla riva: – Venite un po’ in qua!
    – Ma che problemi ha? – mi chiese.
    – Non sa nuotare tanto bene.
    – Che sfigato! – l’apostrofò lapidario, ignorando forse che anch’io non sapessi nuotare tanto bene.

    Appena arrivato, incominciò a dar segno di tutta sua insulta mocciosaggine tirandoci la palla in modo da schizzarci addosso, ma io e Luca rispondemmo con una valanga di spruzzi.
    – Basta!... Basta!... – implorò, annaspando; sembrava aver capito.
    – Allora, a che giochiamo?
    – Tiriamoci la palla senza farla cadere – propose Luca, e per sentirci più atletici, e per Roberto, andammo più a riva, ma questo aveva anche l’ovvio “inconveniente”, in chi porta il costume e ha di suo una certa prominenza, di metterla ancor più in rilievo. Robertino si accorse di questo, e come volesse gareggiare in un inane confronto, incominciò a saltare fuori dall’acqua per farselo vedere (secondo me, pure barzotto).
    Dopo i primi tuffi, Luca si accorse di quel costume trasparente e mi si avvicinò all’orecchio: – Ma lo sa? – mi chiese sornione
    – Lascia perdere… – gli feci intendere toccandomi la tempia.
    Presto, però, anche vedere il suo insulso grillo sgusciar fuori dall’acqua non fu più così divertente, e quindi incominciammo a giocare seriamente. Ormai eravamo intenti a batter sempre ogni primato precedente: pena, una valanga di schizzi all’inetto ricevitore; finché, a un certo punto, Luca mi si trovò vicino, e Robertino ci tirò la palla, allora saltammo entrambi per prenderla, ma nel marasma collettivo, nel risalire, mi sentii chiaramente agguantare fra le gambe.
    Ma che era stato!? Intanto, vidi Luca ritirare la palla a Robertino, che la riprese. Io mi allontanai. Non capivo: sembrava che non fosse successo niente per lui, eppure io mi sentivo nitidamente ancora l’impronta di cinque dita cinque sul pacco, ma lui non mi guardava… eppure, se se ne fosse accorto, mi avrebbe certamente guardato per capire se me e fossi accorto anch’io; ma il pensiero me lo stava indurendo. Lì per lì diedi la colpa al caso, all’involontarietà, alla foga del momento, ma poi capitò di nuovo, e questa volta guardai attentamente: e vidi sul suo volto un sorriso compiaciuto. Ma allora mi stava prendendo per il culo! Questa volta l’avrei fatta vedere io: mi buttai io su di lui… ma tra la palla e la ricerca del suo pube, la mano mi scivolò sul suo costume, facendomi sentire solo nel centro del palmo qualcosa di sodo e polposo, forse i suoi maroni: ma almeno avevo la riconferma che quelli lì in basso erano proprio suoi maroni!

    Alla fine della giornata, eravamo ancora a rincorrerci tra schizzi e schiamazzi, risalendo la spiaggia.
    – Oh! È tardi! Devo andare! – suonavano le sette e mezza, mentre lui s’infilava i pantaloni alla svelta, facendo scomparire il suo bel malloppone dalla mia vista.
    – Ma adesso andiamo anche noi.
    – Allora, vi aspetto.
    Poi Robertino prese, poco prima di risalire, a spintonarci, quasi a voler ristabilire le forze in campo (o a volerle destabilizzare?).
    Vidi Luca avvicinarsi a un portaombrellone, e dire: – Dai! – porgendo il gomito piegato: – Braccio di ferro… – lo sfidò.
    Robertino in quel momento s’impettì, cogliendo il guanto di sfida e mettendosi di fronte a lui. Io fui chiamato a giudice di gara.
    – Pronti? – Che impressione tenere ferme quelle manine frementi, mentre si mostravano i muscoletti a vicenda per intimidirsi, come in una zuffa tra gatti. – Ready go!
    Fu tutto un torcersi e contorcersi di scapole, e clavicole, e omeri, e ulne, e radi, e un rimpallarsi e rinfacciarci d’accuse di barare, alzando il gomito o piegando le spalle; mentre io mi godevo quella disfida tra galletti da pollaio. Ma fu chiaro fin da principio che Luca avrebbe vinto, se non altro per la maggior leva dell’avambraccio. Alla fine si mise pure ad esultare, come un novello Rocky Balboa, con tanto di melodia trombettata con la bocca, a sfottere l’avversario.
    – Ah… sei un grande! – gli disse con tono sarcastico e massaggiandosi il braccio: – ma prova con lui… – Cosa! ma che c’entravo io con le loro beghe da pollaio?
    – Dai! – mi sfidò.
    – Dai… cosa?! Ma secondo te… – pensava davvero che ci potesse essere gara fra noi due?
    – Paura…? – Ok! sfida accetta.
    Roberto si mise a giudice di gara: – No, lascia perdere! – lo fermai: – Lascia che sia pure lui ad iniziare: quando vuole… pure senza preavviso! –; mi guardò fiero.
    Luca incominciò allora, dopo un po’ di concentrazione, a tentare di distrarmi, tastandomi il braccio e a complimentarsi: ma io quella scena l’avevo già vista… e sempre con un biondino nella stessa parte.
    Quando ci provò a schiaffeggiarmi, lo bloccai per aria, e poi lo spezzai a braccio di ferro: – Toh!
    Ritirò il braccio con un grido acuto: – Ahiiiiiii…
    – Oh! T’ho fatto male!?... – mi preoccupai.
    – No… no… – disse, trattenendosi il braccio: – Ma come lo sapevi?
    – Ma che pensi di guardarli solo tu i filmi… – e peraltro lo avevano appena ridato.
    – Ah, vedo… anzi, sento!
    Io intanto, però, mi sentivo di merda, mentre il fetentino stava gongolando come se avesse vinto lui, così presi appuntamento riparatorio per la serata.
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    La grammatica?
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    Non si possono archiviare almeno i sondaggi? oramai le discussioni di servizio riempiono metà della pagina.
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    Bella iniziativa, se posso permettermi una critica, però, questo concorso, che considera solo i racconti iniziati in un dato periodo, non tiene conto del fatto che alcuni di loro continuavo per diversi mesi, che altri vengono iniziati e poi abbandonati (alcuni al primo capitolo), e altri iniziati e conclusi nello stesso. Insomma, capisco che possa essere più difficile da attuare, ma sarebbe più logico concentrarsi sui capitoli pubblicati nel periodo, piuttosto che sul singolo racconto.
45 replies since 25/12/2014
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