Cronache di terza [Young][Scolastico]

Le avventure erotiche di un liceale e del suo giovane amico

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    Bibip… Bibip… Bibip… Bibip… Bibip… suona maledetta la sveglia col suo trillo elettronico fin dentro la mia testa, riecheggia per la stanza e mi desta. È una nuova giornata, è di nuovo mattina, ma oggi è diverso: è più presto. È arrivato settembre, e presto arriverà anche lei… È finita l’estate, quindi addio ai calzoncini corti, alle gite pomeridiane in motorino con gli amici, alle lunghe giornate, ai pomeriggi assolati, alle piscine serali, alle uscite domenicali, addio estate… oddio, è iniziata la scuola! Dal basso mia madre mi chiama: sono il solito pigrone che non vuole svegliarsi mai, ma se fra poco non sarò io a scendere, presto sarà lei a salire a sbrandarmi dal letto. Guardo fuori la finestra l’umore uggioso della giornata, ma so già che non durerà; odio questa stagione: è fresco la mattina presto, poi fa caldo quando esco se c'è il sole e poi di nuovo fresco quando questo va a dormire; non so mai cosa mettermi, mi vesto a strati, ma ho immancabilmente freddo quando fa fresco e sudo quando c’è il sole… non vedo l’ora che sia già primavera. Scendo assonnato, fo colazione svogliato e senza capire neanche cos’ho mangiato, mi ritrovo nel cortile con mia madre che chiude a doppia mandata il portone di casa – fosse per lei lo sprangherebbe pure! Come un dolce tedio è ricominciato il nostro solito tran tran; mi accompagna all’autostazione, anche lei in fondo deve andare al lavoro, per fortuna il suo mezzo parte prima, e così mi ritrovo solo circondato da facce di adolescenti: son tutti delle superiori, eccetto qualche outsider delle medie; ogni tanto becco qualche faccia nuova da primino, ne vedo molte quest’anno, sono coloro che non sanno ancora come va il mondo da queste parti: appena avvistano l’automezzo si accalcano infatti tutti nei posti sbagliati, così i primi a salire siamo noi, quelli del triennio, accaparrandoci i posti migliori.
    Seggo accanto al finestrino, guardando fuori per non incrociare lo sguardo dimesso di quel coso siedutosimi vicino: forse è un outsider o forse un primino, non so, ma per oggi poco m’importa, saranno gli altri, presto, a fargli capire le regole del pulmino e i comportamenti da seguire. La corriera parte, non farà ulteriori fermate, la prossima è il capolinea (pare anche della mia vita) nel piazzale della scuola, e intanto ripasso quei nove mesi ancora da venire, arrivati tutti d’un colpo; ma oggi che giorno: il primo di Terza…! Non so cosa m’attende, so solo che vorrei già fosse finito.

    Si sdoppia il sole obliquo nei finestroni alti della scuola, anche oggi farà bello, e come sempre mi sono svestito poco; davanti alla vetrata il solito addensarsi di studentelli, che per sembrare migliori si fionderanno dentro al primo campanello. Suona la campanella, da fuori l’istituto, simile alla sveglia di casa, ma con suono men dolce di quella, e solo i primini e gli sfigati entrano per primi. Io invece mi attarderò, posso ancora attendere, in fondo è solo la prima delle tre, starò in attesa di qualcuno con cui parlare. Scruto tra la selva di “cavezze” in cerca di qualche capigliatura conosciuta, ma non è facile quest’anno, siamo più di mezzo migliaio allo scientifico, negli ultimi anni siamo cresciuti parecchio, e tra le mode e le teste nuove è diventato una vera babele di acconciature; mi guardo intorno, circondato da anonime chiome più o meno sconosciute, finché finalmente una voce mi saluta.

    Un «ciao» proviene da dietro, troppo vicino per non essere rivolto a me. È una voce non nuova, ma nemmeno tra quelle che m’attendevo d’udire: compagni di classe, docenti, forse il preside, perfino i bidelli, alle loro voci ero abituato; ma a quella voce, proprio, non riuscivo a dare un volto. Mi voltai interessato; un ragazzetto più basso di me, forse primino, sostava ritto con ai piedi scarpette grigie da ginnastica, calzini corti, pantaloni rossi a tre quarti di gamba, una maglietta verdognola con un cerchio decorativo al centro, e il volto sorridente semicoperto da un capellino della Kappa; ma i lineamenti… quei lineamenti dal mento alla punta del naso erano i suoi…
    – Lu… Luca… – balbettai per lo sconcerto il suo nome – quasi un gesto apotropaico – al posto del saluto, vedendomi così quei nove mesi sconvolgersi davanti ai miei occhi.
    – Allora…
    – …ciao! – risposi, finalmente pronunciando il vocabolo giusto. Lui era lì davanti a me; non credevo ai miei occhi, e non sapevo neanche se credere a un sogno o a un incubo di un sonno mai finito.
    – …ce l’hai allora il cellulare? – mi disse, come continuando una conversazione idealmente interrotta la sera prima, ma io ancora impietrito per il turbamento, non riuscivo a cavare parole sensate: la sintassi si accavallava, il pensiero s’intorcinava nell’ammucchiarsi confuso di frasi sconnesse; farfugliai qualcosa, quando una sagoma invadente irruppe nel mio campo visivo.
    – E chi è sto mo-scar-di-no, qui? – disse Sonia, sbattendogli una mano sul cappellino, mentre lui poverino strizzò gli occhi per il colpo inatteso.
    – …è Luca – risposi frettolosamente prima che lui potesse entrare nel discorso.
    – Sì, ma chi è?
    – Un amico…
    – Chi? Lui… – disse sorpresa – ma se li odi. Quest’estate dev’averti proprio cambiato! – Poi lo mosse come un burattino dinoccolato, afferrandolo per la nuca e voltandogli la testa: – Beh! Almeno c’ha la faccia da sveglio! – riprese – Ciao, ci vediamo dentro.
    – Ciao – le risposi, mentre si incamminò voltandosi verso Luca.
    – E ciao anche a te, furbetto! E stai attento a quel tuo amico lì, che è uno che si caccia nei guai! – sorrise.
    Era proprio lei, non era cambiata affatto, quando parlava ti prendeva sempre in contropiede; non ho mai compreso come una tipa così brillante, potesse rivolgere la parola a un rincoglionito come me.
    Poi guardai Luca, ora era lui a essere sconvolto per l’incontro, in effetti l’irruenza di Sonia faceva questo effetto a chi non la conosceva, invece a me, averla incontrata, aveva tolto ogni disagio: quella figura da pinocchietto aveva smitizzato quel soggettino inatteso e ora potevo guardarlo con tranquillità, come un compagno la cui presenza nella mia scuola fosse scontata da tempo.
    – Dai entriamo, ci beccheremo durante l’assemblea.
    Per noi del triennio era il primo giorno, mentre per Luca e i suoi coetanei era già il terzo, la segreteria aspettava, come di consueto, che i più piccoli si fossero ambientati, prima di riunire, dopo la seconda ora, seicento ragazzi di tutte l’età nell’androne principale della scuola.

    Zaini, studenti, giacche, tutto alla rinfusa, come sempre alle assemblee d’istituto il caos regnava sovrano, a turno avrebbero parlato, preside, professori e in fine i rappresentanti d’istituto o coloro che ambivano candidarsi quell’anno; però nessuno sarebbe più stato ad ascoltarli dopo il primo quarto d’ora, per non parlarne dopo l’intervallo, quando l’assemblea avrebbe assunto i toni di un vero bivacco. Ognuno era congiunto col suo gruppo d’amici, e anch’io avevo il mio, fatto di quei soliti tre compagni, gli unici della classe con cui andavo veramente d’accordo. Traguardavo tra la folla in cerca di Luca, l’idea di lui in mezzo a quel carnaio m’agitava: mi immaginavo di vedermelo sbucare fuori, come stamattina, da chissà quale dove e che poi si mettesse a parlare con loro, cosa che volevo assolutamente evitare; ma in più d’un’ora d’assemblea non lo vidi; l’infruttuosa ricerca però mi valse il rincontro di Sonia. Lei era mia amica, anzi la mia migliore amica, ci conoscevamo praticamente da sempre, fin dall’elementari, forse fin dalla più tenera infanzia; quand’ero con lei mi dimenticavo del mondo, tutti me lo rimproveravano, alcuni ipotizzavano che ci fosse del tenero, ma tra noi non poteva esserci nulla, ci conoscevano da troppo tempo perché potesse esserci qualcosa tra noi due, era quasi come una cugina; eppure a certi dava fastidio che una ragazza del genere rivolgesse la parola a me e non a loro. Sonia era bella, sarebbe rientrata fra le figheire della scuola, se non fosse stato per il suo carattere impetuoso e indipendente, eppure aveva il suo bel seguito di contendenti, anche nella mia classe: gente che si mordeva la lingua al suo passare, altri si mettevano in bella mostra, ma lei niente, passava tutti e salutava solo me, soltanto me, infrangendo frotte di cuori di quei livorosi che mal sopportavano che uno sfigato avesse tali confidenze con la “loro” donna. Tutti quanti, però, avrebbero fatto meglio a mettersi il cuore in pace, poiché si vociferava, già da prima dell’estate, stesse con uno del Quarto al classico; una sorta di bestia mitica: alto, bruno e cheguevarianamente barbato, militante nell’associazione studentesca. Tornato dal mio tête-à-tête informale con lei, mi ero finalmente dimenticato di Luca, quando scoppiò l’intervallo, ed era ora di precipitarsi al banco della Bezzi. I panini della Bezzi non erano buoni, non erano neanche cattivi, di più: orrendi, ma noi cresciuti col fast food eravamo preparati pure per quello; gli ingredienti erano segreti e circondati da un alone di mistero: c’è chi ipotizzava di fluidi corporei alieni, chi il riciclo di salme di primino, chi invece azzardava un uso promiscuo con la cucina del cinese vicino, i miti del nostro istituto erano tanti e la Bezzi n’era parte integrante. Ero ai margini della calca ad attendere il panino, quando Luigi mi toccò alla spalla, segnandomi con faccia sdegnata un biondino che gli faceva cenno di chiamarmi.
    – Ah sì, lo conosco!
    – E chi è? – domanda imbarazzante.
    – Un mio cugino… – m’inventai una risposta di fortuna.
    – Dai chiamalo che lo conosciamo…
    – No, adesso sento cosa vuole e lo caccio via… anzi no, forse non torno.
    Presi Luca in disparte; quando la campanella suonò la fine dell’intervallo, il tumulto riconfluì nuovamente nella sala centrale per ascoltare gli ultimi oratori: i pretendenti alla carica di rappresentante. Dietro la cattedra si accomodarono tre ragazzini impacciati e intimoriti di fronte a quella immensa distesa di occhi che li fissava; non avevo mai visto né sentito parlare di rappresentanti di prima, ci voleva un gran coraggio, ma anche, forse, una totale assenza di senso del ridicolo. Quello al centro prese il microfono, il chiacchiericcio della piazza s’alzò prepotente, poi disse: – Noi… noi abbiamo deciso di candidarci, perché anche noi di prima abbiamo dir… – bastò una sola sillaba che scoppiò un putiferio di fischi, il preside accorse in loro soccorso contro il vociare invadente che si fece coro di beffe e risa verso quei tre mocciosetti ancora ignari che la scuola non è luogo di democrazia.
    – Bah! Qui stiamo solo a perder tempo! Vieni, che andiamo da un’altra parte…
    – Già! – disse Luca, scrollando le spalle quasi a biasimare per quei tre suoi coetanei, che in fondo avevano mostrato tanto coraggio.
    – Ti faccio fare il giro della scuola, anche se sei qui da due giorni, certo non l’hai vista tutta… – lo portai a zonzo per i corridoi dell’istituto: non sapevo dove andare. Dovevo indagare sulla sua presenza: perché era nella mia scuola? Non doveva essere in Inghilterra? Cosa voleva? Quell’estate, in fondo, era stato soltanto un fortuito episodio! Non sapevo, però, come rompere il ghiaccio, la sua improvvisa presenza mi aveva scombussolato: mi affascinava, ma allo stesso tempo infastidiva, soprattutto mi turbava non sapere le sue aspettative, le sue prossime mosse, dopo quel nostro trascorso, accaduto in vacanza. Notavo un sorrisino di compiacimento sul suo volto per il mio disorientamento; sovrappensiero su come indagarlo, mi fermavo indeciso a ogni incrocio senza sapere se volerlo portare a destra o a sinistra, allora lui prendeva l’iniziativa e io mi accodavo: lì da due giorni appena, ed era più padrone di me vi vivevo da due anni. Era proprio lui, non era un incubo né un sogno; era proprio come lo ricordavo: quel suo fare gentile ma deciso, quel suo essere sempre padrone di sé, che suscitava in me tanta ammirazione e incanto per quella figurina minuta ma carismatica, anche se la sua malia sembrava ridimensionata rispetto a quest’estate nell’atmosfera cupa e semibuia dell’istituto, dove in fondo eravamo entrambi due semplici studenti.
    – … ti sei tagliato i capelli?
    – Sì, mia mamma ha insistito, ma secondo me stavo meglio prima!
    – No, dai, stai bene anche adesso! – sei stupendo come sempre, avrei voluto dirgli. – Ma… dimmi, non dovevi andare in Inghilterra? Come mai sei a scuola qua? – Così mi raccontò dei suoi zii e della malattia di suo cugino che non potevano più ospitarlo, tutto questo, però, ancora non spiegava perché mai, fra tutti gli istituti, avesse scelto proprio il mio; il suo tergiversare m’irritava. Intanto lo condussi al piano superiore in cerca d’un’aula vuota dove poter parlare; non so se m’infastidisse di più la sua faccia da santarellino o la sua impassibilità come se quell’estate non fosse accaduto niente, come se la sua presenza nella mia stessa scuola non avrebbe avuto per me altre conseguenze. Camminando riavvertii il suo fascino: quel biondino al mio fianco, spacciato per un mio lontano cugino, non potevo ignorarlo volente o nolente: suscitava in me forti e contrastanti emozioni, ricordavo ancora le cose combinate quell’estate, quell’intesa impossibile che mai in nessun altro avrei incontrato. Per togliermi dall’incantesimo, cercavo mutamenti del suo aspetto esteriore per rendermelo meno attraente, ma né l’altezza né il peso sembravano variati rispetto a un mese fa; anche di volto era rimasto quello di sempre: quella bellezza armoniosa dai lineamenti delicati e gentili di un visino imberbe e pulito da pubere fanciullino, uno sguardo simpatico e accattivante, due occhi castani e accesi, solo il caschetto non era quello d’allora: ora più corto, aveva perso quell’iride di sfumature che andavano dal biondo più acceso a quello più cinerino, in ombra, ma il suo fascino non era mutato.
    Stavo nuovamente cadendo sotto l’influsso della sua arcana malia, finché vidi quello che cercavo: una porta socchiusa.
    Noi due dentro in quell’aula in penombra con l’uscio chiuso, faceva molto privé; ma con la porta serrai anche la mia bocca sprofondando in un silenzio imbarazzante che si palpava nell’aria, anche Luca si fece piccolo in quel clima d’imbarazzo, con la testa incastonata fra le spalle e le mani in tasca.
    – Così questa è la vostra aula dei computer – disse rompendo l’indugio.
    – Già, ne abbiamo più di venti: quelli là in fondo sono i più nuovi, li hanno installati l’anno scorso.
    E si incamminò sul fondo dell’aula, sfumandosi nel buio della stanza. La memoria non poteva fare a meno d’affollarsi di quell’immagini di lui e delle sue infinite qualità: nella sua siluetta in penombra, me lo vedevo ancora in costume quel suo fisichino sottile, d’armonica snellezza, che ancora non aveva conosciuto lo sviluppo muscolare. Luca si sedette con un salto sul bancone vicino, proprio in mezzo a due schermi; il balzo aveva sollevato la maglietta sopra la cinta, scoprendo così la patta, e il crocicchio di pieghe rosse che evidenziava la sua già risaputa vivacità peniena. Il mio occhio vi cadde sopra, poi, subito distolto, incrociò lo sguardo di Luca in un rapido scambio d’occhiate; si accorse di tutto, accennò un sorrisetto malizioso e il mio cruccio crebbe ancora, con lui che continuava a giocare al gatto col topo con la verità: stavo impazzendo.
    – Luca, – mi feci serio – veramente, perché sei venuto qui?
    – Ma si può sapere cos’hai? Sembra quasi che io ti dia fastidio? – disse con fare estremamente innocente. – Insomma, sei stato tu a parlarmene quest’estate, e io sono venuto a vederla. Come ti ho già detto, mi è piaciuta e poi ho pensato che avresti potuto darmi un aiuto coi compiti, tutto qua!
    – Davvero?
    – Sì, davvero! Perché che altro doveva esserci?
    Dopo quelle parole invece di risollevarmi, rimasi deluso: in fondo ci speravo in qualcosa di più; così un po’ imbarazzato, adesso per la figura barbina appena fatta coi miei sospetti, gli dissi – Dai andiamo! –, girandogli le spalle, ma Luca balzò giù dal bancone e mi abbracciò da dietro, poggiandosi alla mia schiena. Avevo quasi dimenticato quanto fosse bello essere abbracciati; quella parte di me prima delusa si sentì subito rincuorata e avvertì il bisogno di ricambiare il gesto, così mi girai. Mammamia quant’era bello stringere un altro essere umano sentendosi libero di manifestare le proprie emozioni senza paura di essere giudicato, dentro di me continuavo a ringraziarlo per aver scelto la mia scuola; non l’avrei più lasciato, se delle grida di ragazzi, che correvano in corridoio, non avessero rotto quell’atmosfera conciliatoria; ci lasciammo a malincuore coi nostri sguardi che, incontrandosi, si giuravano che quella non sarebbe stata l’ultima volta.

    All’uscita me lo trovai tutto sorridente ad attendermi, non capivo cosa volesse ancora, ma insistette per portarmi a casa in macchina, dato che, in fondo, ero di strada. Conobbi la madre, l’autista: una donna bella e distinta, che mi riferì di conoscermi già dai racconti di Luca – certo che ne aveva fatto di affidamento sul fatto di ritrovarmi in quella scuola! Arrivò perfino a propormi di farmi accompagnare d’ora in poi a scuola da loro; la proposta era allettante: usare un mezzo proprio al pubblico aveva l’indubbio vantaggio di alzarsi più tardi la mattina e di rincasare prima, ma per quel mese avevo già l’abbonamento, e poi avrei dovuto parlarne coi miei, che non gradivano che me ne approfittassi troppo della generosità degli altri, dicevano. Quando scesi da quell’auto, sentendomi più tranquillo, la situazione mi pareva più a portata di mano, speravo solo di essere abbastanza abile per saperla gestire anche in futuro, mantenendone il segreto.
    Nei giorni seguenti presentai Luca ai miei compagni, come mio cugino; era sveglio, e comprese ed accettò subito quel ruolo per giustificare la sua presenza, se voleva continuare a gironzolarmi intorno; i miei amici lo trovarono simpatico e accettarono la sua presenza, visto che faceva di tutto pur di stare con quelli più grandi di lui, essendo questo motivo di distinzione di fronte alla sua classe. Dovevo però stare attento a che non diventasse troppo appiccicoso, finora, per quella prima settimana, tutto si era manifestato come una semplice amicizia, ma sapevo che ben presto sarebbe successo dell’altro.

    Edited by erox06 - 7/4/2019, 20:02
     
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  2. aLazyBoy
     
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    Wow, complimenti! Il racconto da quel poco che mi è concesso leggere è strutturato bene; la storia è davvero accattivante e non vedo l'ora di leggere il seguito ;)
     
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  3. AnYx.
     
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    Io non avevo letto la prima versione delle tue cronache ma devo dire che questo capitolo è stato davvero interessante, intrigante e ben scritto!!!!
    Ora sono curioso...
     
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  4. cesaremistero
     
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    Non ti azzardare a riinterrompere il racconto! L altra volta con l ultimo capitolo non si è capito nulla e ci hai lasciato sul piu bello!!!! Ti ho odiato
     
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    Erox, non puoi capire che effetto mi ha fatto leggere il nome del racconto seguito dalla prefazione in cui ti presentavi. Cronache di Terza è stato il mio primo racconto erotico seriale, forse il primo in assoluto... Ero adolescente, neanche conscio di me stesso e dei miei gusti, ma adoravo la tua storia e il tuo modo di scrivere. Ricordo ancora la tua pagina blogspot e l'attesa tra un racconto e un altro. Ne è passato di tempo ma non vedo l'ora di rileggere le tue storie e, se possibile, scoprire qualcosa di più. Per ora si può dire solo grazie!
     
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  6. IlRompi93
     
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    Ho provato una certa emozione appena ho visto questo post. Infatti fu anche per me il primo racconto erotico seriale che lessi e di cui aspetto da tropppppppppo tempo una degna conclusione. Spero che la mia curiosità venga soddisfatta il prima possibile :sheep:
     
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    Non ci credo, una delle cose più belle che abbia mai letto! Quando il blog fu chiuso ero tristissimo! ripubblicale tutte perchè è una cosa semplicemente stupenda! KSL5a85
     
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    O MIO DIO :O_O:
    Mi viene da piangere!! :runcry: Questo è stato il primo racconto erotico gay che ho letto Ricordo che quando avevo 15 anni passavo tutte le sere con la PSP a leggere i vari capitoli sul tuo blog ç__ç quando lo hai interrotto ci sono rimasto malissimo volevo sapere come finiva a tutti i costi, una volta ti scrissi anche una mail credo xD
    Qualche mese fa mi è venuta voglia di rileggerlo ma ho avuto una brutta sorpresa ... il blog non c'era più ... :alone: ho passato così giorni e giorni a cercare delle copie dei tuoi racconti per salvarli in pdf. Ne ho trovati alcuni ma non tutti e non ricordavo l'ordine... mi fa davvero piacere sapere che hai ricominciato e non vedo l'ora di rileggere questa nuova versione e sapere sopratutto come va a finire! :rock:
    GRAZIE erox06 :tunz:
     
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  9. ianian
     
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    Fantastico racconto, mi hai appassionato dalla prima all'ultima parola, e non avendo mai letto il racconto precedente mi auguro che tu lo possa continuare
     
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    Non ci credo! Grandissimo.
    Bello che tu lo continui.
    Incontrare a caso il tuo blog quasi 5 anni fa è stato emozionante.

    E quando non ho più trovato i racconti gli ho cercati e ricercati non trovandoli, ahimè.

    Come alcuni ti ho scritto e cercato di contattare, ;-) bene che adesso sei nel forum.

    Grazie per questo racconto.
    I due personaggi poi sono splendidi.

    Grazie Grazie.

    Matteo
     
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    Bellissimo racconto continua presto! :)
     
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    Già finito? :alone:
     
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    Bellissimo racconto :) Quando scrivi il continuo? :)
     
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    credo che tutti noi appassionati conosciamo la storia di Luca e Alle, mi è dispiaciuto moltissimo non sapere come andava a finire la loro storia... spero che riuscirai a continuarla e soprattutto a finirla :D :D by un tuo fan :asd: :asd: :asd: :asd: :asd:
     
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    Pomeriggio con Luca


    Trascorrevo quel tranquillo lunedì pomeriggio, dall'inizio della scuola, comodamente spaparanzato sul divano di casa, quando un ronzio passò per la via. Un clacson d’un motorino attirò la mia attenzione, gracchiando insistentemente. Scostai la tenda: uno sconosciuto davanti al cancello dava l’idea d’attendere che il padrone di casa gli aprisse il cancelletto; non sapevo chi fosse, non conoscevo nessuno con quel cinquantino, ma dalla statura non c'erano dubbi. Di solito odio le visite inattese: mi sanno d'invadenza, come se l'ospite s'aspettasse ch’io sia sempre al suo servizio; in quel caso, però, avrei potuto anche fare un’eccezione e aprire il cancello, ma giocare a identificare dell'intruso era più divertente. Già a metà del vialetto non ebbi più dubbi: un esserino minuto, vestito di corto, con la maglietta blu e il mitico "46" sopra al petto; anche se l'ombra del casco ne occultava l'identità, sapevo che sotto quel tondo copricapo si nascondeva la buffa testolina di Luca. Giunto al cancelletto, finalmente intravidi il bianco ridente dei suoi occhi brillanti, da dietro la visiera; era tutto così nuovo: il casco nuovo, il motorino nuovo, persino lui stesso sembrava nuovo di fabbrica. E com'era ossimorico quel suo esile figurino rispetto all'enorme Aprilia nuovo: una visione che quasi induceva alla tenerezza. Pensai a quant’anch'io – due anni prima – dovessi sembrar buffo su quei cinquantini sovradimensionati per le stature dei medi quattordicenni; aveva quasi del miracoloso come, così minutino, riuscisse a sostenere quell'enorme mole di plastica e do metallo.
    – Luca, che ci fai qua? – dissi fintamente sorpreso: in realtà ero contento che fosse lì.
    – Te l'ho detto che sarei venuto – non era vero!
    – Così, è questo il tuo scooter! – continuavo a fissarlo, perché era davvero bello: tutto lucido e nero.
    – Sì! – confermò, fiero e contento. – Devo ancora finire il rodaggio, però ci ho già tolto un fermo – e mise la mano come a confidarmi un segreto: – …fa gli 80! –, disse a bassa voce e divertita.
    – Seh! Poverino! toglici almeno dieci chilometri da quello che vedi! E quando ti sarai stancato di andar piano, dimmi a me che ti porto io dove so… – non era vero niente: non ne sapevo niente d’elaborazione ai motorini, ma fare lo sbruffone davanti a un primino era comunque conveniente.
    – Andiamo a fare un giro? – mi disse già con gli occhi sorridenti, forse scontando una mia risposta positiva.
    – Non ho voglia né di tirar fuori il motorino né di vestirmi, sarà per un'altra volta, dai…
    – Allora vuoi provare il mio… – mi propose interruppe, quasi porgendomi su di un piedistallo il suo motorino. Mi stava offrendo di provare il suo scooter nuovissimo, non ci potevo credere: perfino la ragazza da ragazzi è più merce di scambio lecita di un motorino, figuriamoci poi offrirlo a uno “sconosciuto”: o nutriva in me così tanta fiducia, oppure voleva assolutamente coinvolgermi in quel meriggio settembrino, anche a costo di cedermi (momentaneamente) il suo bene più prezioso.
    – Ok! andiamo in campagna! Vai dietro casa mia, e aspettami là!
    Volò. Per quelle strade nessuno ci avrebbe visto. Presi i comandi del motorino, Luca salì dietro, sulla lunga sella; ora gli avrei fatto vedere io qualcosa che lui, per inesperienza o paura, non avrebbe mai osato fare. Una lunga e diritta strada deserta era quello che ci voleva per le nostre scorribande. Quante volte ero venuto per quelle strade a gareggiare con gli amici, da solo o in coppia, proprio come noi due, ma mai nessuno mi aveva tenuto come lui in quel momento: di solito, tra maschi, per pudore, ci si tiene solo il minimo possibile per non essere sbalzati, Luca, invece, mi si teneva forte, mi abbracciava vigorosamente; sentivo il suo casco premermi fra le scapole – era piacevole; per fortuna che nessuno poteva riconoscerci. Finalmente giungemmo al limite dell’asfalto: da quella linea grigia in poi, solo un’infinita striscia di ghiaia bianchissima. – Ora sì che ci si diverte, Luca! – dissi: – Però dammi il casco, che ho paura di beccarmi un insetto e di cadere. – All'idea di cadere col suo scooter nuovissimo, mi diede subito il suo casco: ci teneva veramente! Di solito un casco è solo un comunissimo casco, ma il suo per me, in quel momento, aveva quasi il valore di un gesto d’affettivo: mi sembrava di condividere con lui qualcosa di intimo, qualcosa che essendogli stando in testa, ne aveva quasi assimilato l'essenza. Via: sgommate, sulla strada sterrata; frenate; sterzate; il posteriore derapò più e più volte, e ad ogni volta o giravolta Luca misi stringeva sempre più forte, tanto da sentir distinta sulla schiena la sagoma della sua testa: anche per questo gli avevo fatto togliere il casco. D’improvviso, s’aprì alla nostra destra lo spiazzo d’un vecchio casolare diroccato, e v’entrai sullo sterrato più morbido e friabile per far slittare la ruota posteriore, sollevando un nemboso polverone tutt'intorno a noi. Nel bianco della densa nuvolaglia s'intravedeva soltanto la sagoma grigiastra del rudere e degli alberi d'intorno, e man mano che l'orizzonte lontano si velava, il nostro mondo privato si definiva tra quelle pareti d’opaca inconsistenza: l'universo era svanito, e solo io e lui eravamo, e il nostro abbraccio, a popolare in quel luogo sfumato. A naso ripresi la direzione per la via, e senza neanche sapere se il ponte o il fossato avrei beccato mi tuffai in quel fumido biancore. Basta: gli avevo mostrato un po' di guida ricreativa, ed era più di quanto non sapessi fare; ora era meglio rientrare. Nel ritorno incontrai qualche altra occasione per il divertimento, come delle buche scavate a intervalli regolari dai trattori, che andandoci sopra alla giusta velocità, sapevo, avrebbero dato l'effetto delle montagne russe, ma il rischio di cadere era davvero alto: fossi stato da solo col mio motorino l’avrei anche fatto, ma la forza di quell'abbraccio assieme al malinconico pensiero che avrei potuto rovinargli il suo prezioso motorino mi trattennero dal farlo.
    Parcheggiai il motorino nel cortile d’ingresso. Luca tutto entusiasta mi saltellava intorno per l'esperienza appena fatta: si vedeva che era un pivellino. Era la prima volta che l'avevo in casa mia, e come al solito non sapevo come affronterò: avevo già una mezz’idea sul da fare, suscitata anche dalle sue maliziose occhiate, ma mi vergognavo a proporla: era passato un mese! Sì, è vero… probabilmente era venuto proprio per quello nella mia scuola, e ora a casa mia, ma io non riuscivo a trovare, come lui invece, tutta quella libertà dai pregiudizi del mondo, come era accaduto quest'estate – una cosa che, in fondo, sarebbe dovuto rimanere soltanto un isolata e irreiterata trasgressione estiva, senza più esser replicata.

    Accesi la Play, e ci sedemmo ai piedi del divano, ma presto Luca, stanco di perdere, si arrese, lasciando cadere a terra i comandi, come un re capitolato. – Basta! – disse: – Continua tu! –, e si tirò sul divano, con una gamba ciondolante e l’altra distesa dietro la mia schiena, mettendo bene in mostra tutto ciò che aveva da mostrare della sua pubica esuberanza, e che di certo quei pantaloncini rossi non contribuivano a minimizzare.
    – Non so, tu che vuoi fare? – tentai di coinvolgerlo; ma, mentre cercavo, un sottile vocino: – Beeeh… se vuoi, possiamo fare altro… – propose timidamente (nascondendosi il viso tra i bracci).
    – Boh… tu che proponi? – finsi di non cogliere, ma gli lasciai una mano sul ginocchio, tornando a guardare la tivù. Luca taceva, ma sentivo la sua tensione muscolare crescere, girandogli intorno con le dita, specie quando salii lungo la snella coscia, con tocco leggero: fin sotto i pantaloncini, fin a cozzare contro qualcosa di carnoso dentro i suoi slip. Lo so che avrebbe voluto qualcosa in più, ma per ora a me bastava farlo grevemente impazzire accarezzandogli timidamente l'inguine. Era eccitatissimo: sentivo il suo afflato farsi sottofondo delle voci alla tivù, ogni volta che gli passavo le dita tra la coscia e gli slip. Qualcosa di lui si stava muovendo: s’aggiustava i pantaloni, e ogni tanto mi guadava; il suo gonfiore montava, e io gli agguantai i marroni. L’udii ansimare senz’alcun trattenimento; ritirai la mano; salii sul divano; e Luca ritirò le gambe per farmi sedere, sedendosi accanto a me.
    In silenzio, tutto in rigoroso silenzio: non c’eravamo mai guardati durante tutto quel carosello, coi nostri sguardi unicamente rivolti alla tivù. L'abbracciai e con l'altra mano m’infilai sotto la sua maglietta a cercare il suo cazzo; non ci volle molto per trovarlo: era già lì bello pronto, tutto ritto, mezzo fuori dalle mutande. Piccole contrazioni sulla turgida cappella: così gli piaceva, se mi ricordavo bene, il mio massaggino; e anche lui finalmente iniziò a contraccambiare. Ne avevo voglia; da quando l'avevo visto il primo giorno di scuola, il mio cazzo aveva desiderato un incontro intimo con le sue dita. Improvvisamente il suo fuoco si accese, e cominciò a masturbarmi. Era più bello fare tutto di nascosto, con un tocco di pudore, sotto alle magliette, senza vedere, anche se gli abiti ci impacciavano il movimento. Tentati di cavargliene un altro po' dalle mutande per masturbarlo meglio, ma c'erano troppe vesti a ridosso; e non appena comprese che volevo smarlettarlo veramente, abbandono la mia sega per dedicarsi alla sua unicamente: era stato egoista, ma a lui potevo perdonare anche quello. Mi tolse il fastidio degli indumenti, alzando la maglietta e spingendo in basso i pantaloni e le mutande.
    – Oh, eccolo qua il mio bel doppio decimetro! – dissi: e sì, fra i mille pregi di Luca c'era anche quello! E io sapevo bene quant’era importante sentirselo lodare, avendocelo anch’io. Era passato più d'un mese da quando l'avevo masturbato in vacanza, e quella volta ne avevamo fatte ben di peggiori: di quelle che non ci dormi la notte per l’eccitazione; ma adesso, avendo ripreso tutto così inaspettatamente, anche quel poco era per me più che soddisfacente. Osservavo i suoi marroni ballonzolare sotto la spinta dei miei colpi di mano lungo quel pene, quasi esagerato (come il motorino) rispetto alla sua minuta fisicità e al faccino da sbarbatello. Gemeva e spingeva, arricciando il tappeto; parlottava, Luca nell'orgasmo proprio non riusciva a stare zitto; inarcava la schiena; ansimava come un forsennato. Stava già per venire, l'umido del suo glande non mentiva; allora rallentai per indietreggiare, ma Luca: – Non ce la faccio più… –, mi disse.
    – Vuoi venire? – gli sussurrai all’orecchio.
    – Sì! – vociò, con un canto meraviglioso.
    – Allora, dai, che andiamo in bagno –; si zittì.
    – Perché?! – mi pronunciò con un tono esterrefatto.
    – Ti faccio venire sul bidè.
    – Come sul bidè! – s’incazzò.
    – Luca, io oggi non ne ho voglia oggi di…
    – Sì, ma… – sembrava non trovar le parole per esprimere la sua irritazione. – Ma io sono cinque giorni che non… – e si fermò per reticenza.
    – Allora, dai, che andiamo in bagno!
    – No! – rifiutò categorico. – Se devo fare così, allora… faccio da me! – e così dicendo si cavò da me.
    – Dai… non fare così.
    – Ma si può sapere che hai? – mi rimbrottò seccato.
    – Luca è inutile che rompi! È così e basta.
    – Ah! – esclamò risentito: – Io, rompo!
    – Maledizione Luca, ma non ci arrivi?! Io sono già venuto! – gli gridai incazzato, perché mi stavo giustificando con un primino perché non mi andava di prendergli in bocca l’uccello. Finalmente Luca tacque, stette pensieroso qualche secondo e poi mitemente mi chiese: – Ma perché l'hai fatto… –, sentendosi quasi tradito, – …non potevi aspettare me?
    – E come cazzo facevo a sapere che saresti venuto!… – Dopo quell’assurdo alterco, scoppiò un imbarazzante silenzio. – Vuoi qualcosa da mangiare? – gli chiesi per superare l’empasso.
    – Sì, grazie! – mi ringraziò mestamente, non fissandomi.
    Il frigo vuoto: non c'era niente per noi due. Guardai sul tavolo: nel cesto della frutta solo due mele e qualche banana, lì a maturare da giorni; gli avrei dato una di quelle, almeno avremmo fatto due risa. Lo raggiunsi alle spalle del divano, facendogli penzolare la banana sopra la testa: – Toh! C’ho solo questa: magnatela, e non rompere!
    – Certo che me la magno! – me l’afferrò lesto. – E mi piace pure! – aggiunse impudente. In quel momento, quel suo rispondere da bambinetto dispettoso, mi eccitò nuovamente: – …e ben lo so che ti piace! –, scavalcai lo schienale, sedendomelo tra le gambe. Presi, per la frenesia, a solleticarlo sotto la maglietta, e mentre che si mangiava quel delizioso frutto proibito, nella mia mente mi sarei riappropriato della topografia del suo giovane corpo: eccole, le cunette addominali, appena azzardate sotto la pelle sottile, e poi i contorni dei suoi accennati pettoralini, non ancora definiti per l’acerba età, ed ora la snellezza dei suoi fianchi sottili, e le scapole aguzze e la scaletta vertebrale, che era un piacere percorrer colle nocche. È quel suo essere asciutto e longilineo che m’attizzava. Non sapevo più dove mettere le mani: lo volevo toccare dappertutto, mentre lui con fiera immobilità stava lì, a mangiarsi la sua banana, con me che lo disturbavo con le mani uscenti dal collo della maglia per dargli dei buffetti. Apparentemente remissivo, eppure in realtà padrone e regale: questa, la complicità che me lo faceva adorare; nonostante i suoi due anni di meno, ero io a subirne il fascino.
    – Dai, mettiti giù!– gli ordinai deciso.
    – Cos'è: adesso ne hai voglia? – sorrise malizioso.
    – No, però voglio farti qualcosa di soft!
    – Di soff-t… – mi prese in giro: – e che vuol dire «di soff-t»?
    – Adesso te lo faccio vedere!
    – …e se adesso fossi io a non averne voglia? – se la tirava: era nella tana del leone, e se la tirava pure!
    – E se adesso fossi tu a non averne più voglia: non me ne fregherebbe niente! – risposi: – Sei a casa mia e fai come dico io!
    – Vale come regola? – mi prese in contropiede.
    – Cioè?
    – …che quando siamo a casa mia, poi si fa come voglio io.
    – Mmm… sì, vabbè!
    – Davvero?
    – Davvero!
    – Ma davvero? davvero?
    – Sì! Davvero! – uffa, ma perché non si fidava…
    – Sarà..., ma a me non mi convinci! – disse, e finalmente si coricò.
    Presi a denudarlo, iniziando dalla maglietta. Ecco, finalmente, il Luca che avevo imparato a conoscere quest’estate: quel primino filiforme e magro, ma contempo sostanzioso. Tolsi anche la mia di maglietta, per poterlo abbracciare teporoso, pelle a pelle, in questa mite stagione, senza il caldo torrido dell’estate.
    – Mi vien quasi da dormire – sbadigliò forzosamente.
    – Ma allora dormi! –, e seguì il consiglio. Tanto per me sarebbe ancora meglio avere quel quattordicenne magrolino da accarezzare completamente abbandonato tra le mie mani. Ma vederlo pisolare, però, era così bello e rilassante, che presto seguii anch’io il suo sopimento, stendendomi acconto.

    Rinvenimmo entrambi – non so dopo quanto – più carichi e eccitati di prima. Riconoscevo quella brillantezza nei suoi occhi, il suo significato; solo che ora anch'io avevo una voglia matta di apprezzarlo fino in fondo; ripresi così ad accarezzarlo eroticamente. La sua pelle morbida mi pareva ancor più sensuale di prima; e pure lui incominciò a muovere le sue timide manine. Insieme, non c'impiegammo molto a toccarci su ogni centimetro del nostro giovane corpo, fino a giunger colà, dove era la meta finale: scontavamo entrambi la prossima mossa dell'altro, imitandone il gesto. Le mie mani: le sue mani: le nostre mani, dentro i pantaloni, a cinger quella grossa crisalide che in poche mosse si sarebbe dischiusa, dando vita a un drago famelico. Lo sentivo: ora compresso dentro alle mutande; aprii: due grossi peni, durissimi, stringevamo entrambi tra le mani dell’altro. Non ce la feci più: iniziai a masturbarlo; lui pure. Il fulcro del nostro mondo ora stava là in basso, nei pressi dello scroto. Mi piaceva vederlo con quello sguardo malizioso di chi sa di aver intrapreso un gioco proibito; adesso sì che ne avevo voglia, Luca aveva riacceso il mio bollore, e ora, come un vulcano non più sopito, doveva essere sfogato.
    – Basta! facciamolo! – gli dissi; non ci fu bisogno di aggiungere altro, che capì tutto immediatamente, perfino la posizione migliore per avere il nostro primo rapporto: scese di poco, e io mi voltai. Lui sotto e io sopra, così avremmo fatto il nostro primo sessantanove su quel divano. Non gli detti nemmeno tempo di sistemarsi completamente che gli levai pantaloni e mutande fin sotto al sedere, liberandomi del loro ingombro; lui invece dovette sfilarmi le vesti fino alle caviglie, per mettersi con la testa in mezzo alle mie ginocchia. Eccolo finalmente quel cazzo lungo così come lo volevo, iniziai subito con una bella leccata per riscoprirne l'antico sapore, ma Luca aveva fretta, non riusciva ad aspettare il mio meticoloso rituale di preliminari, e iniziò subito a metterlo in bocca succhiandolo come un forsennato.
    Il suo succhio mi eccitava, e come una turbina mi spingeva a leccarglielo ancor più vigorosamente. Di colpo iniziò una fellatio irripetibile; non ce la facevo: succhiava e boccheggiava il mio glande con tanta di quella foga che vedevo le stelle dalla goduria. Avvertii improvvisamente un senso di vuotezza dentro alla bocca, e un impellente bisogno di colmato col suo lungo cazzo; era giunto così il mio momento di gustarmelo come lui si era gustato quella banana. Luca succhiava con passione e livore, sembrava inspiegabilmente aver acquisito esperienza dalla nostra avventura vacanziera, e ben presto gli avrei sborrato in gola. – Sto venendo! Sto venendo! – gli gridai per avvisarlo, ma a lui non importava nulla: avrebbe preso tutto, e senza neanche ringraziare! – Luca preparati, ahah... – gli colai, in uno spasmo, tutto il mio seme in gola (quel poco che ancora mi residuava). Luca lo accolse tutto senza problemi, e continuò a succhiarmelo quasi ne avesse ancora voglia; ma probabilmente ricordava quant’era bello sentirselo succhiare anche dopo l'orgasmo, anche se in quella posizione era difficile godersi appieno il suo sapiente pompino; lui invece sì, che, supino, si sarebbe goduto alla grande il mio bel bocchino.
    Luca aveva finito, lecchicchiava ancora il mio glande, ma ora sì che potevo dar sfogo alla mia perversione. Eressi il suo pene mettendone in gola il più possibile: purtroppo non potevo prenderne dentro qualche altro centimetro ancora! Ma com'era bello! lungo! Era un mese che non lo facevo: che non sentivo un grosso membro carnoso dentro alla mia bocca, e se non fosse stato per lui non l’avrei mai più riprovato. Non volevo perder tempo, volevo giungere anch'io presto al suo culmine sublime: non ricordavo più il sapore del suo sperma e volevo rinverdirne la memoria. Scappellai, inizia succhiare forte: mi sembrava un enorme ciupaciups.
    Luca che s’agitava irrefrenabilmente sotto le mie gambe: a tratti verseggiava, ad altri lo riprendeva e succhiava, dandomi subito una carica così potente da riversare sul suo pene. Succhiavo e leccavo, leccavo e succhiavo, non vedevo l'ora di riassaporare il suo seme. C'eravamo: Luca stava gemendo, non era lontano; finalmente avrei estinto il mio fuoco interiore ingoiando il suo seme. Eccolo, annunciato dai suoi versetti di piacere. La bocca mi si riempì d’un liquido più denso del solito: non era saliva, era Luca dentro di me! Avevo dimenticato il sapore del suo seme, così prepotente; cinque giorni… pensai: «complimenti per la resistenza!», e si sentivano tutti: tanto che faticavo a tenere in bocca tutta la sua semenza, che in parte mi colò lungo l'asta. Non potevo lasciare: il suo gemere ancora non rallentava, lui godeva; un'eternità mi parvero quei suoi attimi di sublime godimento.
    Finalmente anche lui mi disse basta, quel round era finito. Il suo pene mollato, ricadde sul suo ventre come pugile bolso; lo guardai: lui stramazzato con gli occhi sbarrati ancora mi ringraziava. Mi rigirai, cadenzando il suo nome a lunghe sillabe, e svenni al suo fianco, mentre mi guardava felice: l'avevamo fatto, aveva ricevuto quello per cui, in fondo, era venuto e ora avevamo voglia soltanto di riposare. Ma sentii il brusio delle gomme di mia madre sulla ghiaia del vialetto: – Luca, presto rivestiti! Mia madre! –; gli prese il panico.

    Eravamo ancora stesi sul divano, e in fretta e furia mi rivestii; mentre lui doveva ancora finire, mia madre comparve in cucina.
    – Ciao mamma! – dissi, scattando sugli attenti, mentre lui sortì dal divano finalmente ricomposto.
    – Ah! Ciao, Alle. Ma c'è anche un tuo amico: ecco di chi è il motorino di fuori!
    – Sì, mamma – mi buttò una strana occhiataccia: forse perché non avevo mai detto così tante volte la parola ‘mamma’ in un frase sola. – Lui è Luca!
    – Salve, signora – disse porgendole la mano e quasi un accenno d'inchino.
    Parlarono un po’, per me anche troppo, ma quando gli chiese: – Ti fermi per cena? – era troppo.
    – No, è tardi! – risposi io per lui, – adesso va a casa! – e lo accompagnandolo al motorino, con ancora il sapore del suo seme in giro per la bocca.
    Gli diedi il casco, anche se lui non sembrava molto intenzionato ad andarsene: – Ah, una cosa: mio nonno vuole che tuo papa lo chiami – a sì, il lavoro.
    – Va bene, riferirò! – lo congedai, ma mettendosi il casco indugiò nuovamente.
    – Senti, poi per quella cosa di portarti a scuola noi?
    – E… devo ancora sapere qualcosa – in effetti gliel’avevo solo appena accennato.
    – Ciao! – e finalmente se n’andò, tanto l'avrei rivisto l'indomani a scuola.

    Appena rientrato, le sollecitai un commento, visto che aveva detto che prima di darmi il permesso voleva conoscerlo: – Allora…
    – Cosa?
    – Luca…!
    – E che c’è?
    – Che cosa ne pensi? – ma sembrava più intenta a preparare per la cena che ad ascoltare me
    – E… – tergiversò: – …ma mi sembra più piccolo di te.
    – Infatti, fa la prima.
    – Ecco! Allora, la prossima volta vedi di esser meno prepotente!
    – Ma chi? Io!
    – Sì! Tu…: l’hai praticamente cacciato via senza neanche darmi tempo di parlarci – e neanche lo doveva fare!
    – Allora?... – le risollecitai il commento.
    – Alle, e che ti debbo dire: è… è… – ci pensò – …è carino! – disse come non sapendo cos’altro dire, alzando le braccia.
    …karino! Ma come poteva mia madre dirmi che era «carino»? Cioè, per me era stupendo! ma lei come poteva… E per di mandarla a quel paese, presi le scale per andarmene in camera mia, ad ammazzarmi di seghe.
     
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