Il sapore delle fragole [Scolastico][Romantico]

Contest di Racconti - Natale 2016

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    Anticipo che il racconto potrà inizialmente sembrare semplice – forse noioso – e abbastanza lineare, ma non è così. Ha la parte finale di difficile comprensione e non è detto che tutti arrivino a capire il vero senso della mia storia, quindi non cogliendo tutti vari particolari della trama e, molto probabilmente, non apprezzando il lavoro.


    Il sapore
    delle fragole





    PROLOGO


    PAPO
    22 dicembre – Ore 13.00


    “Che giornata di merda!” constatò Filippo in uno sbadiglio annoiato. Osservò il banco al suo fianco, vuoto. “Potevo rimanere a casa a dormire...”
    Come ultimo giorno prima delle vacanze di Natale, Filippo era certo che nessun professore avrebbe interrogato o spiegato. Avrebbe passato la giornata guardando un film o un documentario e scrivendo sul diario gli ultimi compiti assegnati per il periodo festivo. Le sue previsioni si erano rivelate esatte, tranne che per un particolare: credeva che sarebbero stati presenti tutti i suoi compagni, mentre si ritrovò in classe insieme ad altri quattro ragazzi solamente, con i quali non aveva quasi mai parlato da quando li aveva conosciuti. Poggiò la testa contro il banco e controllò l’orario sul cellulare. “Ancora pochi minuti e poi sarò libero!”
    Il suono della campanella sentenziò l’inizio delle vacanze di Natale. Finalmente Filippo poté uscire da quella classe vuota e morta. Si fermò vicino ad un palo fuori dall’istituto e buttò lo zaino a terra. “Papà farà ritardo, come al solito.”
    Il cellulare vibrò nella sua tasca. Lo prese in mano e lesse il nome visualizzato sullo schermo: PapàGLavoro. Rispose alla chiamata: «Pronto?».
    «Papo, sono papà! Ho provato a chiamare a casa ma è ancora attivata la segreteria, quindi lo dico a te: sarò fuori città per lavoro fino alla Vigilia, tornerò il pomeriggio del ventiquattro. Per quanto riguarda il cenone, a casa dovrebbe esserci già tutto, ma è meglio se ricontrolli la lista. Quando rientrerò, cucinerò. Spero di fare in tempo!».
    Anche Filippo sperava che suo padre avrebbe fatto in tempo a preparare il cenone, perché era l’unico in famiglia a saper cucinare, e lo sapeva fare anche molto bene. Gli venne l’acquolina in bocca pensando al cibo succulento e si ricordò che era ora di pranzo.


    Edited by Koh - 25/12/2016, 17:07
     
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    CAPITOLO 1


    GIACOMO
    16 dicembre – Ore 16.00


    Giacomo osservò il quadrante dell’orologio sul muro. “Le quattro! Gli altri stanno per arrivare e devo ancora finire di preparare!”. Schizzò come una lepre in sala per sistemare i cuscini del divano, pulire il tavolo e cercare i giochi di società nascosti in qualche armadietto. “Devo fare i pop-corn, aprire i pacchi di patatine, portare le bevande sul tavolo, mi devo anche vestire!” pensò ansiosamente.
    «Ti posso aiutare a fare qualcosa!» si offrì Filippo, pur restando disteso in modo scomposto sul divano mentre guardava la televisione. «Altrimenti cosa saresti venuto a fare in anticipo?» lo canzonò beffardamente Giaco- mo. «Prendi dalla dispensa in cucina due pacchetti di pop-corn e mettili nel microonde, poi porta qui in sala anche le patatine e le bevande che trovi nel frigorifero!» gli ordinò infine.
    Mentre continuava a cercare nelle decine di cassetti dell’armadio i giochi, Giacomo vide la robusta figura di Filippo alzarsi controvoglia dal divano. «Non so usare il forno a microonde, ho paura di bruciare la casa!» lo sentì lamentarsi. Giacomo aprì un altro cassetto e trovò i giochi. “Finalmente!”. Li prese e li poggiò lestamente sul tavolo.
    Vide che Filippo stava ancora temporeggiando. Si portò una mano tra le crespe ciocche castane che gli ricadevano sulla fronte e rifletté sull’organizzazione.
    «Va bene, allora facciamo così: io prendo gli snack e le bevande, tu va’ nella mia cameretta e prendimi dall’armadio due calzini, un paio di mutande, un pantalone e una maglietta. Scegli tu, basta che non accolga gli altri a casa mia in pigiama!» esclamò, sempre più in ansia per il ritardo.

    Aveva finito di portare tutto sulla tavola in sala ed il campanello, per fortuna, era ancora muto. Corse nella sua cameretta sfilandosi la maglietta con gli orsacchiotti del pigiama. Filippo aveva sistemato tutto sul letto. “Ha scelto bene, dopotutto conosce i miei gusti” rifletté analizzando i vestiti. Si tolse i pantaloni e le mutande con disegnate delle renne rimanendo completamente nudo, noncurante della presenza nella stanza di Filippo. “È il mio migliore amico, lo conosco da quando siamo nati. Mi ha visto nudo un’infinità di volte.”
    Giacomo stava indossando i calzini quando si accorse che Filippo lo fissava pensieroso. Comprese che il suo sguardo era fisso proprio sul suo pene.
    «Perché mi stai guardando proprio là?» chiese a Filippo, continuando però a vestirsi. Si alzò e si infilò le mutande.
    «Sei ancora vergine?» domandò improvvisamente Filippo. Giacomo rimase interdetto: pur essendo il suo migliore amico, non avevano mai parlato di sesso. Non rispose, si vergognava sia del fatto che a diciotto anni fosse ancora vergine, sia del fatto che dovesse parlarne con Filippo. Lo guardò negli occhi: dal tono di voce e dal comportamento che mostrava, Giacomo capì che l’amico gli aveva posto la domanda per semplice curiosità.
    «Facciamo una domanda più semplice» riprese Filippo, forse interpretando il suo silenzio come una risposta. «Sei mai stato con un ragazzo?».
    Sentire quella domanda scatenò in Giacomo una sensazione di disagio. Aveva parlato con il suo amico circa tre anni prima e gli aveva svelato il suo grande segreto: la sua omosessualità. Filippo lo aveva accettato tranquillamente, era rimasto sempre al suo fianco, ma da quella volta non ne avevano più parlato. Per Giacomo, riportare a galla questo argomento, in un momento peraltro inatteso, era fonte di imbarazzo. “Però, dopotutto, è l’unica persona che sappia di me...”
    «No, non sono mai stato con nessuno...» balbettò impacciato mentre si infilava i pantaloni, cercando di non incrociare lo sguardo di Filippo. Era troppo timido per mostrarsi agli altri, per dire al mondo di essere gay.
    «Beh, ovvio, sei troppo chiuso in te stesso. Apriti un po’! Continuando così, probabilmente arriverai alla laurea senza aver mai frequentato nessun ragazzo!» lo rimproverò Filippo. Giacomo mormorò un assenso, ma sentiva che il peggio era passato. Indossò la maglietta e prese le scarpe.
    Driiin. Il campanello. Gli altri erano arrivati.
    «Vai ad aprire tu, mi sistemo i capelli ed arrivo!» esclamò Giacomo. Corse in bagno, mentre Filippo andò in sala ad aprire la porta ai loro amici.
    Quando arrivò nel soggiorno, i suoi amici si erano già accomodati. Fece un saluto generale e si scusò per il suo ritardo.
    «Non ti perdonerò mai per non avermi accolto personalmente in casa tua!» una voce alle sue spalle lo riprese. Giacomo si girò e vide Simone, la sua pelle così candida risaltava nel contrasto con la felpa nera e i suoi capelli chiari e luminosi, tendenti al biondo, erano nascosti dal casco del motorino che ancora portava sul capo.
    Era sbucato dalla cucina insieme a Filippo, portando alcune bottiglie di birra. Giacomo gli sorrise, sapeva che stava scherzando. Per stare al gioco, si inginocchiò di fronte a Simone e implorò il perdono da parte del suo finto padrone. «Potrei farti diventare il mio schiavo!» disse Simone. Giacomo si rialzò ridendo ed aiutò Simone a portare le bottiglie sul tavolo.
    Era felice che fosse venuto anche lui; tutti gli altri erano per lui amici anonimi: la loro presenza o assenza non comportava un cambiamento di umore in lui, mentre per Simone era diverso, nonostante la loro amicizia durasse da meno di un anno. «Sono felice che sei venuto!» gli confidò.
    «Anche io!» rispose Simone. Giacomo sentì attraversarsi dal sorriso penetrante dei due occhi glaciali che lo fissavano e non riuscì a trattenere anch’egli un sorriso.



    FILIPPO
    15 marzo – Ore 10.00


    «Su cosa vogliamo fare la ricerca?» gli chiese Simone. Filippo alzò le spalle e mormorò: «Non ne ho idea!».
    Tornarono entrambi sconsolati a sfogliare il libro di filosofia. La professoressa voleva che gli studenti, a coppie, svolgessero uno studio di approfondimento su un argomento a loro scelta. Filippo aveva scelto Simone come compagno di progetto solamente perché era il suo compagno di banco e non voleva alzarsi. “Lo so, sono pigro e grasso” si era detto. Simone non gli stava antipatico; anzi, era un ragazzo interessante e divertente, ma non aveva mai avuto la possibilità – e la voglia – di approfondire l’amicizia.
    Sentì il suo cellulare vibrare e, prendendolo senza farsi notare dalla professoressa, vide che era un messaggio di Giacomo, ma non fece in tempo a leggerlo: la batteria, completamente scarica, si arrese e l’apparecchio si spense. «Cazzo!» imprecò in un sussurro. “Ora dovrò aspettare la ricreazione per vedermi con lui alla cattedra in corridoio e chiedergli del messaggio!”
    «Vogliamo farla su Bacone?» propose Simone titubante.
    «Mai studiato, non so nemmeno chi sia...» dovette ammettere Filippo, che ripose il cellulare, ormai morto, in tasca e tornò a sfogliare il libro. Si soffermò su alcune pagine interessanti e suggerì: «Vogliamo fare il progetto su Galileo Galilei?». Simone annuì, sebbene secondo lui non fosse sicuro della scelta. “Galilei... Sicuramente meglio di altri” si autoconvinse Filippo.
    «Mentre tu leggi sul libro, io cerco qualcosa in più su internet!» Filippo organizzò il lavoro da svolgere, ma si ricordò della sua impossibilità ad accedere al web. «Mi presteresti il cellulare per fare le ricerche?» chiese. Simone gli porse il suo telefono sottobanco. «Stai attento alla prof!».
    Filippo sbloccò lo schermo passandoci un dito. Premette sull’applicazione del browser ed attese l’apertura della finestra con il motore di ricerca.
    Indirizzando lentamente l’indice sulle lettere della tastiera apparsa sul display, decisamente troppo piccola per le sue dita tozze, digitò la G e la A. Stava per far pressione sulla L quando dal motore di ricerca apparve una finestrella con alcune ricerche già effettuate in precedenza. Lesse sconcertato: ‘porno gay’, ‘racconti gay’, ‘gay sex’, ‘film gay’.
    “Simone è gay!” appurò. Lo guardò, ma il suo compagno di banco era intento a leggere il libro: non si era accorto di nulla. Per non farsi scoprire, premette sulla L e le ricerche suggerite sparirono.
    Mentre cercava distrattamente informazioni aggiuntive su Galilei, la men- te di Filippo stava ancora tentando di assimilare la scoperta. “Simone è gay... Come Giacomo. Non frequento moltissimo Simone, ma da ciò che conosco di lui, Giacomo ci potrebbe andare molto d’accordo. E se li facessi incontrare? Sarei così felice se Giacomo finalmente si sentisse meno solo.”
    «Trovato qualcosa?» la voce di Simone lo fece trasalire. «Nulla che non sia anche sul libro...» sussurrò amareggiato, anche se sapeva di non essersi impegnato molto nella ricerca. Simone chiuse il libro e sbuffò deluso: «Questo compito ci varrà una bella insufficienza...»




    SIMONE
    22 dicembre – Ore 13.00


    Il leggero ticchettio dell’orologio sul comodino lo cullava. Non si sentiva nient’altro, solo il silenzio. “Sto ancora dormendo” realizzò Simone.
    Nel buio della mente, un sogno si materializzò. Una figura aleggiava nel nulla, la sua sagoma era incerta e fluttuava, come se fosse un ologramma. Quando si delineò meglio, Simone capì che aveva di fronte a lui Giacomo. “Ciao amore...”
    Era un sogno, Simone ne era certo. Poteva fare quello che voleva nella sua mente. Spogliò la figura di Giacomo e si ritrovò ad ammirare il suo corpo nudo, glabro ed esile. “È così bello...” Si avvicinò a lui e gli baciò il collo. Con una mano, delicatamente gli spostò i capelli increspati che nascondevano quei profondi occhi neri, due gocce d’inchiostro notturno nel rossore tipico del suo volto. Anche nel sogno, gli sembrava di percepire il suo sapore leggermente salato, il suo profumo di macadamia.
    Simone aprì gli occhi ed il buio della stanza cancellò ogni immagine che aveva in mente. “Che bel sogno...” si disse compiaciuto. Girò la testa di lato e guardò l’orario. “È quasi l’una! Ho dormito abbastanza.”
    Si alzò ed accese il cellulare. Doveva vestirsi velocemente se voleva arrivare fuori dalla scuola in tempo per incontrare Filippo. Voleva proporgli di andare a mangiare in qualche posto per festeggiare l’inizio delle vacanze di Natale.
    Alcune notifiche risvegliarono il telefono. Mentre stava uscendo di casa, lesse i messaggi: erano tre avvisi di chiamata da parte di Giacomo. “Ti richiamo dopo, amore.”
    Quando Simone arrivò a scuola, notò che erano presenti pochissimi ragazzi; erano già andati tutti via. Vicino ad un palo vide Filippo, intento a parlare al telefono.
    «Va bene, papo, riferirò!» stava dicendo Filippo quando Simone si avvicinò. Il ragazzo lo notò e lo salutò con un cenno della mano. «Ciao!» salutò Filippo interrompendo la chiamata al cellulare. Poi guardò Simone ed esclamò con disappunto: «Che palle, non c’era quasi nessuno in classe oggi!»
    «È l’ultimo giorno di scuola, è normale!» riferì Simone. Filippo, con lo sguardo ancora annoiato, annunciò: «Ho fame, e tu sei in ritardo!».
    «Chi era al telefono?» chiese Simone, cercando di cambiare discorso per non dover giustificare la sua lentezza.
    «Papà.» riferì Filippo chinandosi per raccogliere lo zaino a terra. «Ha detto che torna a casa la Vigilia, ma dovrebbe fare in tempo a preparare il cenone!».
    Simone si sentì improvvisamente felice; mancavano pochissimi giorni. “Giacomo, è quasi Natale!”
    «Beh, andiamo a casa a mangiare?» suggerì Filippo. Simone dissipò i suoi pensieri e dissentì. «Se non c’è lui, chi cucina a casa? Tu? Ti ricordo che sei solo un ragazzino, meglio non rischiare un avvelenamento!».
    «Disse l’adulto che sa cucinare!» controbatté Filippo. Risero entrambi, ammettendo la loro incapacità ai fornelli.
    «Ho sentito dire che al centro commerciale c’è una nuova pizzeria buonissima!» esclamò Filippo. «E allora pizza sia!» sentenziò Simone. Filippo si sistemò lo zaino in spalla e insieme si incamminarono.
     
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  3. Krakòw
     
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    Racconto decisamente interessante..aspetto il seguito ^_^
     
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    CAPITOLO 2


    GIACOMO
    16 dicembre – Ore 19.00


    Giacomo stava sudando. “Ho bisogno di un sei o un cinque”. Lanciò il dado che aveva racchiuso tra le mani e attese che concludesse il suo balletto sul tavolo. Dopo due interminabili secondi, il dado mostrò al soffitto uno dei suoi sei volti.
    «Tre! Ho vinto!» urlò Filippo festante. Con un movimento felino, prese il carro armato di Giacomo dalla plancia da gioco che simulava un planisfero e lo buttò in un sacchetto, pieno di cadaveri di altri carri armati. «Giacomo eliminato! Sono troppo forte a questo gioco!». Filippo posizionò alcuni suoi carri armati e Giacomo, sconfitto, si alzò dalla sedia e si buttò sul divano.
    «Ha distrutto anche te, eh?» domandò Simone, anch’egli seduto sul sofà; stava mangiando delle fragole. Giacomo annuì ed alzò le spalle, prendendo una fragola dal piatto di Simone. La mise in bocca e si ricordò che lui odiava il sapore di quasi tutte le fragole, soprattutto se fuori stagione.
    «Vuoi venire a giocare al computer? Ho un gioco stupidissimo, ma mi diverte troppo!» suggerì a Simone dopo aver sputato il frutto. L’altro annuì. Dovevano aspettare che gli altri terminassero il gioco per poter cenare, così si alzarono e si incamminarono lungo il corridoio, illuminato dalle luci dell’albero di Natale. Più si avvicinavano alla porta della sua cameretta, più Giacomo si sentiva strano: era difficile che invitasse qualcuno in camera sua, Filippo era l’unico ad averne libero accesso. “Eppure ora ci sto portando Simone.”
    C’era anche qualcos’altro che lo turbava, ma non capì cosa fin quando non aprì la porta: si era dimenticato di mettere a posto il suo stupido pigiama con gli orsacchiotti, che ora giaceva sul pavimento di camera sua, in bella vista.
    «Oh, cazzo, scusami!» farfugliò mentre si fiondava a raccogliere i vestiti e nasconderli nell’armadio. Quando si girò, imbarazzato ancora per aver lasciato che Simone guardasse il suo pigiama, vide che il suo amico reggeva in mano le mutande che Giacomo indossava assieme al pigiama, e che aveva dimenticato per terra. «Mutande con delle renne? Molto natalizie!» esclamò divertito Simone. Giacomo gliele rubò dalle mani e le nascose insieme al pigiama. Dal calore che emanavano le sue guance capì di essere diventato paonazzo in volto. Quella camera celava troppi segreti, troppe insidie; lui era troppo timido, non poteva lasciare Simone girare liberamente in quella stanza.
    «Mi sono appena ricordato che il gioco l’ho disinstallato!» mentì tartagliando. «Torniamo di là, tanto staranno per terminare!» concluse e spinse gentilmente Simone fuori dalla stanza.
    Mentre ripercorrevano il corridoio, Simone si soffermò di fronte all’albero di Natale e osservò le decorazioni.
    «Come mai ci sono tutte queste palle di Natale con dei nomi scritti sopra?» chiese toccando una delle sfere in vetro. Giacomo guardò l’albero nella sua totalità e spiegò: «È una tradizione di famiglia: ogni mio parente ha il proprio nome segnato su una palla, e le posizioniamo quasi come se fosse un albero genealogico. Quando ero piccolo mi divertivo molto ad addobbarlo!».
    «E tu dove sei?» chiese Simone, cercando tra le palle il suo nome. «Ah, eccola!» disse indicando una palla rossa solitaria e quasi nascosta tra l’albero e la parete. «Perché sei così lontano da tutti?».
    «Sono figlio unico, e non mi sento molto in sintonia con i miei cugini o con gli altri miei parenti. A dir la verità, non mi sento in sintonia con quasi nessuno. Quindi preferisco stare da solo, in un angolo, senza esser notato. Così come la mia pallina».
    «Ma io l’ho notata!» ribatté Simone in un sorriso. “Lui l’ha notata...”. Il pensiero mise nuovamente a disagio Giacomo, che sentì le guance incendiarsi di imbarazzo. Si portò i capelli davanti alla fronte per nascondere gli occhi e, impacciato, spinse l’amico verso il soggiorno.



    FILIPPO
    6 aprile – Ore 11.00


    «Ciao! Auguri!» suo padre salutò Giacomo mentre entrava in macchina. L’amico ricambiò gentilmente gli auguri e si posizionò sul sedile posteriore.
    «Pippo, devo andare a prendere altri amici vostri?» chiese suo padre accendendo il motore.
    «Sì, pa’, dobbiamo andare a prendere Simone!» rispose Filippo. “Finalmente li faccio incontrare!”. Aveva passato gli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze pasquali cercando di convincere Simone a venire con lui alla Pasquetta organizzata da un ragazzo che tutti a scuola conoscevano almeno di vista e, infine, era riuscito nel suo intento. Non aveva detto nulla a Giacomo che, infatti, lo guardò sorpreso e dubbioso. «Simone? Il tuo compagno di banco? Come mai viene con noi a Pasquetta?».
    «Perché, ti sta antipatico?» insinuò Filippo.
    «No, non lo conosco nemmeno! Lo conosco solo di vista.» replicò Giacomo imbarazzato, mentre si accarezzava con una mano i capelli che gli cadevano sulla fronte. Filippo sorrise, sapeva che l’amico avrebbe risposto così, lo conosceva troppo bene. Consegnò un foglio al padre con l’indirizzo di Simone e la macchina si mosse.
    Quando Simone entrò in macchina, educatamente salutò e fece gli auguri, che tutti ricambiarono. «Piacere, Simone! Tu devi essere Giacomo!» sentì Filippo dietro di lui. Si voltò verso i sedili posteriori per osservare il primo approccio tra i suoi due amici. Li vide stringersi la mano per presentarsi e vide Giacomo assentire con il capo ed arrossire in volto. “Tipico di lui, gli succede sempre quando conosce qualche estraneo” pensò divertito.
    Il viaggio continuò senza altri discorsi, avvolti nella musica che la radio trasmetteva. Arrivarono alla casa in campagna del suo amico. Scesero dalla macchina ed entrarono nella villetta.
    Era una festa grande, all’incirca una cinquantina di invitati. Filippo notò il malessere di Giacomo alla presenza di tutte quelle persone a lui sconosciute. «Non conosco nessuno!» lo sentì sussurrare impaurito. «Anche io non conosco quasi nessuno» lo provò a consolare Simone.
    «Perché non ci sediamo su quel divano?» propose Filippo. Presero tre bottiglie di birra e si accomodarono. Dopo qualche sorso, ruppe il silenzio: «Giacomo, lo sai che anche Simone come te vede tantissime serie televisive? Forse avete visto qualcosa entrambi!».
    «Ah si? Che bello! Cosa hai visto ultimamente?» chiese Simone incuriosito. Nei suoi occhi azzurri si notava un nascente interesse per quel nuovo amico. Giacomo rispose timidamente, ma a Filippo non interessava la risposta. L’importante era che avessero rotto il ghiaccio: stavano parlando.
    Mentre i due discutevano di argomenti per cui lui non aveva il benché minimo interesse, Filippo si alzò e si allontanò, entrando nei discorsi delle altre comitive di persone. Ogni tanto lanciava uno sguardo in direzione del divano. “Sì, Giacomo e Simone potrebbero stare veramente bene insieme.”




    SIMONE
    24 dicembre – Ore 10.00


    «Buongiorno, amore!».
    Simone voleva ancora dormire, ma al suono di quella voce si girò sul materasso. Al suo fianco, disteso sotto le coperte, c’era Giacomo, con i capelli scarmigliati che gli coprivano il viso. «Amore...» borbottò sbadigliando.
    Giacomo gli accarezzò il volto e lo baciò. Un bacio leggero sulle labbra ancora increspate di sonno. Poi salì su di lui, e Simone sentì il suo corpo essere attraversato da miriadi di brividi di piacere. Lo baciò nuovamente, le punte di barba appena accennate della rasatura del giorno prima gli fecero il solletico sul mento. Aveva un leggero sapore di notte.
    Suonarono alla porta; era un suono distante. “Non andrò ad aprire” si rifiutò Simone, lasciando che le mani di Giacomo lo sfiorassero dalle ginocchia al petto. Sentì i suoi peli biondi e folti rizzarsi di piacere al leggero tocco delle dita, come fossero un alito di vento primaverile su un prato rigoglioso.
    Suonarono nuovamente alla porta. Questa volta il suono martellò nella testa di Simone, rimbombando e mandando in frantumi gli specchi del sonno e del sogno.
    Aprì gli occhi. Era nella sua stanza da letto. Da solo. “Un altro sogno...”
    Faticosamente Simone si alzò dal letto e barcollò fino alla porta d’ingresso. Aprì, ma non c’era nessuno. “Uno scherzo? Chi è stato ad interrompere il mio bellissimo sogno?”
    Stava per richiudere la porta quando notò per terra un biglietto. Lo raccolse e lesse: era un avviso di giacenza di una raccomandata internazionale. Non era stato uno scherzo, era stato il postino. Se solo avesse aperto la prima volta che aveva suonato, in quel momento avrebbe tenuto per mano quella lettera che attendeva da molto tempo...
    “Oggi pomeriggio andrò alle poste. Se è la lettera che immagino, sarà un bellissimo regalo di Natale”. Chiuse la porta e tornò nel letto, sperando di riprendere il sogno da dove l’aveva dovuto interrompere.
     
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    È un pensiero questo che dice Simone?

    Simone si sentì improvvisamente felice; mancavano pochissimi giorni. “Giacomo, è quasi Natale!”


    Cioè Simone sta immaginando di parlare con Giacomo?


    Bellissimo racconto. Complimenti.
     
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    CITAZIONE (matthew92 @ 17/12/2016, 00:48) 
    È un pensiero questo che dice Simone?

    Simone si sentì improvvisamente felice; mancavano pochissimi giorni. “Giacomo, è quasi Natale!”


    Cioè Simone sta immaginando di parlare con Giacomo?


    Bellissimo racconto. Complimenti.

    I pensieri sono tra virgolette alte "...", i discorsi sono tra virgolette uncinate «...», quindi quello è un pensiero

    Grazie mille per i complimenti
     
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    Grazie, non avevo notato. :)
     
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  8. § Elena §
     
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    Interessante la formula di pubblicazione scelta... aspetterò le scadenze con piacere
     
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    CAPITOLO 3


    GIACOMO
    16 dicembre – Ore 22.00


    Un rutto poderoso di Filippo concluse la cena. «Questo è il mio ringraziamento a Giacomo per aver cucinato così bene!». Gli altri annuirono. «Se non mi avessi detto che era stato lui a cucinare, avrei creduto tranquillamente di aver mangiato cibo preso in un ristorante!» confermò Simone. Giacomo silenziosamente sorrise e chinò il capo, lasciando che le ricce ciocche ribelli gli coprissero il volto. Quei complimenti gli facevano piacere, ma lo imbarazzavano troppo. “Sicuramente ora sarò rosso in faccia.”
    Mentre stava andando in cucina a poggiare i piatti sporchi ormai vuoti, Giacomo sentì Filippo dal salotto annunciare: «Bene, ora è giunto il momento di parlare seriamente: dobbiamo pensare al capodanno!». Un vocio sommesso e confuso aleggiò attorno al tavolo: gli altri suoi amici erano stati invitati alla grande festa nel villino di campagna dove mesi prima ave- vano festeggiato la Pasquetta.
    “Io sicuramente non ci tornerò là, è stato terribile essere in compagnia di cinquanta sconosciuti!” decise Giacomo, tornando in sala. Quando si sedette, incrociò i luminosi occhi azzurri di Simone, e ricordò: “Nonostante tutto, è lì che ho conosciuto Simone...”
    «Ma casa mia dovrebbe essere libera, potremmo fare una nottata leggendaria! Che palle!» si lamentò Filippo. Giacomo rimase in silenzio: sapeva che, in ogni caso, sarebbe andato insieme a Filippo, dato che non aveva altri amici. E se Filippo, infine, avesse ripiegato per la festa alla villa? Sarebbe stato obbligato ad andare lì! Sarebbe stato sommerso da ragazzi e ragazze che non conosceva! “Anche se...”
    «Simone, tu che fai per capodanno?» osò chiedere. Terminata la domanda, Giacomo sentì il cuore velocizzare il proprio battito. Chiuse le mani a pugno, aveva i palmi bagnati di sudore.
    «Beh, non credo che i miei mi lasceranno dormire fuori una notte...» rispose Simone sconsolato. «Sono molto apprensivi. Difficilmente mi lasciano dormire a casa di qualche amico che loro conoscono da anni, perciò è impossibile che accettino la proposta di dormire in quella villa o da qualche amico che loro non hanno mai incontrato!». Giacomo poteva capirlo, anche i suoi genitori erano così: si fidavano solamente di Filippo. Abbassò il capo sconfortato.
    «No, tu devi venire!» interloquì Filippo. «Venite a casa mia voi due, mangiamo, festeggiamo a mezzanotte, facciamo qualche gioco e andiamo a dormire: io in camera mia, tu e Giacomo nel letto dei miei!».
    “Perché Filippo sta insistendo con Simone, mentre con gli altri si è arreso senza nemmeno provare a convincerli?” si chiese Giacomo. Chiuso nei suoi pensieri, afferrò in ritardo la frase finale. “Dovrei dormire nel letto matrimoniale con Simone?!”
    «In questi giorni mi faccio conoscere dai tuoi genitori! Verrò a casa tua, va bene?» stava proseguendo Filippo, cercando di organizzare tutto per la riuscita della serata. Simone rise, accettando la proposta senza troppa convinzione: «Li puoi conoscere, ma sono certo che non mi faranno venire a capodanno a casa tua.»
    «Ci riuscirò! Scommettiamo?» annunciò Filippo alzandosi in piedi e porgendo la mano a Simone, che la strinse ridendo e replicando: «Purtroppo so che vincerò».
    “Continua ad insistere per far venire Simone a capodanno. Perché?”. La mente di Giacomo non riusciva a darsi una risposta. “Certo, sarei felicissimo se venisse anche lui...”



    FILIPPO
    15 agosto – Ore 15.00


    Sembravano tutti delle balene arenate sulla battigia, ricoperte di sabbia rovente alla ricerca delle piccole oasi d’ombra che i teli degli ombrelloni proiettavano sulla spiaggia. Faceva troppo caldo per fare qualsiasi cosa, anche il più piccolo movimento.
    Filippo finì di mangiare l’ultima fetta di anguria e capì che la fonte della sua frescura era terminata. Avevano portato un bel po’ di cibo e bevande per festeggiare il ferragosto, ma ormai era tutto caldo. Sentiva già i rivoli di sudore scendergli lungo la schiena o dalle ascelle raggiungere le pieghe che i piccoli rotoli di grasso della sua pancia formavano sui fianchi. Doveva andare a farsi un tuffo nel mare. “Almeno mi rinfrescherò!”
    «Qualcuno vuole venire in acqua?» propose alla comitiva. Guardò gli altri: negli sguardi di chi era disteso sui lettini o sui teli da mare poggiati sulla sabbia non notò alcun interesse alla sua idea. Si alzò da terra e provò a scacciare la sabbia che si era attaccata col sudore alla pelle. Si aggiustò il costume a slip aderente che aveva indossato per provare a fare colpo su qualche ragazza, invano, e fece per incamminarsi verso l’acqua, quando Giacomo accettò: «Vengo con te, fa troppo caldo qua!».
    «Vengo anche io!» esclamò un altro. Filippo si voltò e vide Simone, con la sua pelle lattea completamente avvolta nella crema solare, alzarsi da un lettino. Aveva la bocca rossa, probabilmente aveva appena finito di mangiare le fragole che avevano portato: ne andava ghiotto.
    Quando i tre raggiunsero il mare, la mente di Filippo aveva già pensato a tutto. “Li devo lasciare da soli!”. Saggiò con l’alluce la temperatura dell’acqua e disse: «È un po’ fredda, e io ho appena finito di mangiare. Andate voi due nel frattempo, io mi devo ambientare con calma!».
    «Ma hai mangiato solo l’anguria!» precisò Giacomo.
    «Ne ho mangiata quasi una intera, e non voglio rischiare!» replicò Filippo con un tono deciso. Giacomo alzò le spalle e si tuffò, seguito da Simone.
    «Ti aspettiamo un po’ più a largo!» urlò Giacomo tra le onde. Filippo annuì e fece finta di bagnarsi il corpo con le mani. Li osservò nuotare, l’uno al fianco dell’altro, spruzzarsi l’acqua, toccarsi, scherzare, ridere. “Sono sempre più convinto che insieme stareste benissimo...” rifletté Filippo mentre si voltava e tornava verso l’ombrellone, con il sudore che continuava a bagnargli fastidiosamente tutto il corpo.




    SIMONE
    24 dicembre – Ore 16.00


    Era uscito di casa da pochi minuti quando iniziò a nevicare. Simone continuò a camminare e si strinse nel suo cappotto, mettendo le mani in tasca. Le sue dita incontrarono il biglietto che stava portando alle poste per ritirare la raccomandata. “Dovrei dirgli che il regalo è arrivato?” si domandò. Prese dalla tasca il telefono cellulare e digitò il numero di Giacomo.
    Cinque squilli. “Sarà occupato”. Sei squilli. “Se non risponde gli invio un messaggio, leggerà quando potrà”. Sette squilli. “Speravo di sentire la tua voce...”
    «Pronto?». La voce di Giacomo era disturbata da un riverbero fastidioso.
    «Pronto? Mi senti?» chiese Simone, sorpreso ed emozionato nel sentire quella voce così profonda e dolce.
    «Pronto? Simone?» continuava a ripetere Giacomo.
    «Giacomo, mi senti?». Tu tu tu tu tu. “È caduta la linea...”
    Riprese il cellulare tra le mani. Gli voleva scrivere un messaggio per informarlo dell’arrivo della lettera, ma la neve stava iniziando a scendere copiosa e Simone non voleva che il suo cellulare si bagnasse. “Se avrà tempo richiamerà lui.”
    Era sul lungomare, non c’era anima viva. Simone si fermò un minuto per osservare la neve lentamente poggiarsi sulla sabbia e tingerla di bianco.
    “Su questa spiaggia, in quell’acqua, per la prima volta ho capito che mi piacevi: era ferragosto e quel bagno da soli è stato il primo singhiozzo del mio cuore. Ti vedevo nuotare, il tuo corpo nudo e bagnato, le tue linee nascoste da quel costume a pantalone così largo... Ricordo che la mia immaginazione ti aveva spogliato con gli occhi. Faceva caldo, ma in acqua si stava bene anche se il sole picchiava forte. Quando tra le onde ti giravi verso di me, ricordo che il sole impallidiva di fronte al tuo sorriso così abbagliante.”
    Con la mano in tasca sfiorò nuovamente il biglietto per la lettera. “Tutto è successo grazie a te, Filippo...”. Riprese a camminare, l’ufficio postale era ormai vicino.
    “Se solo io non fossi stato così pauroso! Non riuscivo ad accettare di essere gay, non volevo esserlo. Però Giacomo era diventato un pensiero fisso... Se solo io non fossi stato così pauroso! Avrei potuto dichiararmi a lui molto prima, e forse nulla di ciò che è successo sarebbe accaduto...”
     
    .
  10. § Elena §
     
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    Ohhhhh :sparkle:
     
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  11.  
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    CAPITOLO 4


    GIACOMO
    16 dicembre – Ore 23.00


    «Ciao, a domani!» Giacomo salutò tenendo aperta la porta d’ingresso di casa sua. Gli altri amici stavano uscendo, la serata era finita. Simone, già con il casco del motorino indossato che lasciava sfuggire qualche ciuffo ramato, si congedò portandosi la mano alla fronte e imitando un militare. «Ci vediamo domani a ricreazione, alla cattedra in corridoio come al solito!» disse a Giacomo, che nell’intonazione della voce percepì la voglia di rivederlo al più presto. Annuì silenziosamente e nascose il volto dietro la porta; sapeva di essere arrossito.
    Quando tutti furono andati via, Giacomo rimase fermo qualche istante di fronte all’uscio. “Perché Simone è così dolce con me? Perché mi sorride sempre? E perché ultimamente arrossisco ogni volta che mi guarda?”
    Si voltò e notò che Filippo lo stava fissando. Aveva in mano un pacchetto di patatine ed alcuni bicchieri sporchi che aveva preso dalla tavola del soggiorno. «Ti sto dando una mano per rimettere in ordine!» ruppe il silenzio. «Dopotutto, non sono andato via con gli altri apposta per aiutarti!». Andò in cucina e scomparve alla vista di Giacomo.
    Quando tornò in soggiorno, Filippo aveva un volto interrogativo. «Giacomo, c’è qualcosa che non va? Prima eri fermo a fissare la porta!».
    «Va tutto bene.» rispose senza troppa convinzione. Andava tutto bene? Non lo sapeva. “C’è qualcosa che non va? Non credo...” «Dài, puliamo tutto!» concluse diradando la nebbia di pensieri.
    Era quasi mezzanotte quando terminarono le pulizie. Stanchi, si lanciarono sul divano ed accesero il televisore. Giacomo stava quasi per addormentarsi davanti a un noiosissimo programma quando Filippo all’improvviso gli chiese: «Va tutto bene con Simone?».
    Giacomo rimase interdetto. «Perché?» domandò. Non riusciva a comprendere il motivo della domanda. All’improvviso, nella sua mente tornarono a galla i ricordi della serata.
    Prima ancora che Filippo potesse rispondere, Giacomo continuò: «Perché stasera hai insistito tanto con Simone per capodanno, mentre con gli altri hai subito rinunciato? E poi, perché avresti voluto farmi dormire con lui nel letto matrimoniale? Lo sai che sono estremamente riservato!». L’altro alzò le spalle, senza aprire bocca. Giacomo sapeva che Filippo aveva sempre qualcosa da dire, era difficile farlo restare in silenzio, a meno che non ci fosse sotto qualcosa. E così, come un lampo improvviso nel cielo notturno, Giacomo capì.
    «Tu credi che io mi sia innamorato di Simone! Non è così?» alzò la voce accusando l’amico.
    «No, non ho pensato esattamente a quello...» confessò Filippo, ormai messo alle strette. «È da quando so che lui è gay come te che penso a quanto stareste bene insieme. Così vi ho fatto conoscere!».
    I ricordi degli ultimi nove mesi di vita si affollarono nella testa di Giacomo. Ripensò ad aprile, quando Filippo li aveva fatti conoscere a Pasquetta: in quella casa, piena di sconosciuti, li aveva fatti sedere vicini ed aveva iniziato a parlare di serie TV, argomento che a Filippo non attirava minimamente, ma che era un interesse in comune tra lui e Simone. Li aveva anche lasciati da soli per quasi tutta la giornata... “Ad agosto, quella volta che Filippo voleva farsi il bagno, ha lasciato che andassi in acqua da solo con Simone. Aveva rifiutato di tuffarsi intenzionalmente per lasciarci insieme!”
    Gli tornarono alla mente altri piccoli particolari che non aveva mai notato prima. Come ultimo, il piano per farli dormire insieme a capodanno.
    “La mia amicizia con Simone è, in pratica, una macchinazione di Filippo!” concluse mentre sentiva dentro la rabbia pervadergli i muscoli. Filippo voleva decidere la sua vita. Stava usando lui e Simone come marionette da mesi!
    «Quindi tu vorresti decidere al posto mio di chi io mi debba innamorare?» sbraitò digrignando i denti. Non si era mai sentito così arrabbiato e così deluso.
    «Non mi azzarderei mai!» replicò Filippo, vistosamente impaurito per la sua reazione. «Ho pensato che ti saresti potuto sentire meno solo, più apprezzato... più felice!».
    «Per tutto questo tempo hai giostrato con le nostre vite perché tu volevi che io e lui stessimo insieme, senza pensare minimamente alla mia o alla sua volontà!» Giacomo si sentiva tradito. Aveva il respiro affannoso, sentiva la pelle del viso bollire, ma per la prima volta non di timidezza. Si alzò ed andò ad aprire la porta di casa. «Buonanotte, stronzo» sentenziò, invitando l’altro ad abbandonare la casa.
    Filippo, rammaricato per il litigio, indossò il giubbino e raccolse il casco del suo motorino da terra. Dopo aver superato l’uscio di casa, si voltò e provò a discolparsi: «Giacomo, ho solo provato ad aiutarti per farti stare meglio! Non era mia inten–».
    Gli chiuse la porta in faccia. Non voleva ascoltarlo, in quel momento voleva solamente il silenzio. Corse in camera sua e si spogliò. Raccolse il pigiama con gli orsacchiotti che aveva nascosto nell’armadio durante la visita di Simone.
    “Simone...”
    Mentre si infilava i pantaloni, una nuova paura lo assalì. “Quindi Simone, tramite Filippo, probabilmente sa che io sono gay!”. Era un timore strano: non voleva che gli altri sapessero questo segreto così intimo di lui, però Simone era come lui... “Filippo mi avrà tradito svelandogli il mio segreto! Ecco perché ultimamente mi sorride sempre ed è dolce!”
    Spense le luci e si distese nel letto. “La mia amicizia con Simone è stata tutta una messa in scena orchestrata da Filippo. Sono stato solamente un burattino nelle sue mani...” L’ansia lo accompagnò fino al sonno, che fu tormentato da paure e incubi.



    FILIPPO
    21 dicembre – Ore 11.00


    La campanella della ricreazione suonò puntuale, dopo ore di noia. Filippo si alzò mesto dal suo posto e, senza parlare con nessuno, uscì dalla classe. Arrivò alla cattedra dei bidelli nel corridoio e si sedette, come sua consuetudine. Solitamente, Giacomo e Simone lo raggiungevano lì e passavano quei dieci minuti di intervallo chiacchierando tra loro. Ma Filippo sapeva che Giacomo, quel giorno, non si sarebbe presentato.
    “Non viene alla cattedra da quando si è incazzato. Mi sono scusato, ho provato a farmi perdonare, invano... È ancora arrabbiato, penso di averlo trafitto al cuore”. Lo cercò con lo sguardo tra la folla di ragazzi che uscivano dalle classi. “Non verrà.”
    Una presenza lì vicino lo fece trasalire. Si voltò e vide sopraggiungere Simone, che mangiando il suo solito yogurt alla fragola si sedette sulla cattedra con uno sguardo dubbioso.
    «Ho incontrato Giacomo mentre venivo, gli ho chiesto perché in questi giorni non si è fatto sentire, ma non mi ha risposto, che strano...» rimuginò Simone accarezzandosi il mento. Filippo annuì, senza aggiungere nulla.
    «Ma è successo qualcosa tra voi?». Simone aveva posto la domanda che Filippo sperava non arrivasse mai. Non poteva continuare a far finta di niente, ma non poteva nemmeno dirgli tutto.
    «Sì, abbiamo litigato la notte della festa a casa sua» ammise. «Scusami, ma non mi va di parlarne».
    «Va bene, non farò altre domande a riguardo» accettò Simone, ancora pensieroso. «Vorrei solo capire perché sia schivo anche con me...».
    Filippo non poteva restare lì o avrebbe ceduto alla tentazione di sfogarsi e raccontare tutto all’amico. Non poteva farlo, non poteva tradire una seconda volta Giacomo. Si alzò dalla sedia e si congedò da Simone scusandosi: «Perdonami, ma non sono dell’umore adatto per parlare di quello che è successo. Voglio stare un po’ da solo!».
    Si incamminò per il corridoio, lasciando l'amico solo col suo yogurt a riflettere sui propri dubbi. Passò davanti alla classe di Giacomo, ma non lo cercò. Non sarebbe riuscito a sopportare la visione di quegli occhi neri colmi di delusione, di dolore, di rabbia.




    SIMONE
    24 dicembre – Ore 18.00


    Erano quasi due ore che Simone era seduto su quella sedia, nell’atrio degli uffici postali affollati di persone. “Cosa fa tutta questa gente la Vigilia di Natale nelle poste?” si chiese annoiato. Gli sportelli aperti erano solamente due, probabilmente gli altri operatori erano già nelle loro case con la propria famiglia.
    «Centoventisette allo sportello due!» annunciò una voce registrata dagli altoparlanti dell’atrio. Simone guardò il suo ticket. “Sono il centoventotto, ci sono quasi!” esultò.
    Il cellulare vibrò nella tasca: un messaggio. Sbloccò lo schermo e cliccò sulla notifica. Era un messaggio di Giacomo:
    Sono rientrato a casa. Prima quando mi hai chiamato ero sull’autobus e la linea non prendeva bene. Non ho soldi per richiamarti, ma comunque se chiami ora non rispondo perché sono impegnato a cucinare. A dopo <3
    «Centoventotto allo sportello uno!». Era finalmente giunto il suo turno; si alzò e si diresse dall’operatore in attesa. Mentre camminava, il cellulare tra le sue mani vibrò nuovamente. Guardò solamente per vedere chi fosse: era un messaggio di Filippo. “Prendo la lettera, poi leggo” si disse riponendo in tasca l’apparecchio e cacciando al suo posto il biglietto dell’avviso di giacenza di una raccomandata internazionale.
    «Salve!» salutò educatamente l’addetto allo sportello uno, che ricambiò. Simone gli porse il biglietto, l’altro si alzò e si recò nei magazzini per recuperare la lettera da consegnargli. Dopo pochi secondi, l’uomo tornò con una lettera in mano.
    «Firmi qui, per favore!» gli chiese porgendogli un foglio. Dopo aver firmato, Simone ricevette la lettera. Lesse ad alta voce il mittente stampato sul fronte della busta, quasi a voler convincere se stesso che fosse arrivata veramente: «M.G.H., 55 Fruit Street, Boston, MA». “È la lettera che stavo aspettando!”
    Ringraziò l’operatore dello sportello e si diresse verso l’uscita, con il sorriso stampato sul volto. Doveva scrivere a Giacomo, doveva dirgli che era arrivato il regalo. Prese il cellulare e si ricordò del messaggio di Filippo in attesa. “Vediamo prima cosa vuole Filippo.”
     
    .
  12. § Elena §
     
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    Mmmmmh vuoi farmi morire di curiosità vero??? Vero??? VERO???
     
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  13.  
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    CAPITOLO 5


    GIACOMO
    24 dicembre – Ore 18.00


    Doveva aiutare sua madre a preparare il cenone, ma non aveva voglia. Non voleva fare nulla. «Forza Giacomo, dobbiamo cucinare per quindici persone!» lo strigliò la madre. Giacomo sbuffò e si arrese. «Vado a lavarmi le mani e sono pronto!» esclamò andando in bagno.
    Oltrepassando l’uscio del gabinetto, il suo cellulare si mosse. Lo prese e guardò la notifica: un messaggio di Filippo. “Cosa vuole ancora?”. Era tentato di non aprire il testo, ma alla fine cedette e lesse. Erano degli auguri di Natale, degli stupidi ed ipocriti auguri di Natale, seguiti da un “perdonami...” che agli occhi di Giacomo sembravano un ordine più che una supplica.
    “Che coglione, perché non la smette?” pensò colmo di rabbia mentre si lavava le mani. Provando a distrarre la mente, tornò in cucina e si mise a preparare i frutti di mare da servire come antipasto ai suoi parenti.
    «Cosa farai a capodanno?» domandò sua madre mentre riempiva il branzino di erbe aromatiche triturate. Giacomo, che stava tagliando i calamari, poggiò il coltello e abbassò il capo. «Non lo so ancora, mamma...». Ed era vero: non sapeva cosa avrebbe fatto. L’unico amico che aveva mai avuto era stato Filippo, ed in quel momento non aveva più nessuno. Vagò con lo sguardo e notò sul piano di lavoro alcune fragole da utilizzare per ornare il dolce. “Simone?” chiese una voce nella sua testa.
    “No, l’amicizia con Simone era nata perché Filippo voleva così!” si rispose, ma la vocina continuava a controbattere: “Nonostante tutto, Simone è speciale per me. Perché non gli mando un messaggio?”
    Si pulì le mani dall’unto e prese il cellulare. “Gli scrivo o no?”. Guardò nuovamente le fragole sul tavolo. Ne prese una, ma era indeciso se metterla in bocca o no; non voleva rischiare di mangiarla per poi pentirsene.



    FILIPPO
    24 dicembre – Ore 18.00


    “Giacomo non risponderà...” comprese Filippo mentre fissava lo schermo del suo cellulare. Aveva provato a mandargli delle scuse mascherate da auguri, ma nemmeno quel messaggio era riuscito a fare breccia nel muro che Giacomo aveva eretto tra di loro.
    Da ore aveva iniziato a nevicare e, ormai, il manto stradale non si vedeva quasi più. Era seduto sotto una pensilina della corriera lungo il marciapiede e, mentre attendeva che l’autobus passasse, osservava disinteressato i fiocchi di neve lentamente raggiungere il terreno. “A questo punto, forse è meglio che racconti tutto a Simone. Così non avrò più nulla da nascondere a nessuno. Anche se vorrà dire perdere un altro amico.”
    L’autobus arrivò e Filippo con difficoltà fece salire la sua ingente mole sul mezzo. Si sedette solitario su un sedile, e con lo sguardo fisso sul paesaggio cittadino che scorreva oltre il finestrino, cercava il coraggio per scrivere a Simone. Aveva paura di perdere anche lui.
    “No, gli devo dire tutto.” si decise. Prese il cellulare e scrisse un messaggio rivolto a Simone:
    Ciao, ti devo parlare. È molto importante. Se puoi, per favore, incontriamoci. Ti va bene al parco appena sei libero?
    Aspettò alcuni minuti, ma Simone non visualizzò il messaggio. “Sarà occupato a fare qualcosa, leggerà prima o poi.” L’autobus si fermò vicino casa sua e, mentre stava scendendo dalla porta centrale del mezzo, il cellulare gli notificò l’arrivo di un messaggio. Pur sotto la neve, lo prese e lesse:
    Va bene, arrivo tra un po’. A tra poco.
    Aveva paura, ma era convinto di ciò che doveva fare. Raggiunse il suo motorino e partì verso il parco cittadino.




    SIMONE
    24 dicembre – Ore 19.00


    Faceva freddissimo in moto. Le lame gelide del vento lo colpivano con violenza sul volto ed i fiocchi di neve si attaccavano meschini sulla visiera del suo casco jet, che doveva pulire costantemente con la mano.
    Simone non voleva prendere la moto, ma quel pomeriggio gli autobus avevano terminato le loro corse in anticipo per la Vigilia e la strada per raggiungere Filippo era ancora lunga. “Proprio così lontano da casa doveva andare?” si lamentò sbuffando.
    Stava guidando pianissimo per sincerarsi di non scivolare sulla neve. Il ricordo di quella sera di tanti anni prima era ancora vivido nella sua mente: quel motorino a terra, travolto da uno spazzaneve intento a pulire le strade cittadine, quel corpo inerme adagiato sulla lastra d’acciaio, l’ambulanza... Scosse il capo per scacciare quelle memorie. Istintivamente, con la mano destra visitò fugacemente la tasca per sincerarsi di avere ancora con sé la lettera: era lì, adagiata tra le chiavi di casa e le caramelle alla fragola.
    Arrivò quando ormai l’orologio sul visore della sua moto indicava le sette e mezza di sera. Parcheggiò all’entrata del parco ed entrò dal cancello principale, guardandosi attorno alla ricerca di Filippo.
    «Sei in ritardo, come al solito!» gli rinfacciò una voce. Seduto su una panchina, sotto gli schiaffi soffici della neve, Filippo era avvolto nel suo giubbino e tremava. “Mi sta aspettando da un’ora, si sarà congelato...”. Gli sorrise scusandosi.
    «Veloce che mi sta venendo fame!» esclamò Simone mentre si alitava nelle mani congiunte per riscaldarle. Il suo pensiero vagò e raggiunse l’immagine di Giacomo che, in quel preciso istante, dall’altra parte della città, era intento a preparare il cenone della Vigilia. “Amore...”
     
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  14. § Elena §
     
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    Uffffffaaaaaaaa...
     
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    Bello!

    Si ristabilirà l'amicizia tra Filippo e Giacomo vero?
     
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