Cronache di terza [Young][Scolastico]

Le avventure erotiche di un liceale e del suo giovane amico

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  1. oldmanny
     
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    Grazie mille! Bellissimo capitolo :)
     
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    Il flauto

    Ero riuscito a confinare Niki in casa e, ancora meglio, a convincerlo a stare sul tavolo in sala, corrompendolo con qualche croccantino; speravo solo che, come la solito, quello sclerotico d’un gatto non fosse scappato via non appena avvistato Luca: gli avevo promesso che oggi l’avrebbe visto, e ci sarei riuscito!
    Quando Luca arrivò, notò subito Niki sul tavolo, buttò lo zaino per terra e corse immediatamente dal gatto, senza neanche degnarmi d’uno sguardo. – Ma ciao! – gridò con vocina da bambino efebico, contornandolo con le braccia – …come si chiama, Alle?
    – Niki.
    – Niki… ma ciao! Ma come sei bello! – continuava, con voce acuta e infastidente, calcando su tutte le “i”. Avevo fatto una fatica boia a convincere gatto matto a sostare sul tavolo, o meglio a costringerlo, e ora lui non mi si filava di striscio… continuava solo a lisciare il pelo di quel gattaccio; ma la prossima volta col cacchio che lo avrei accontentato! mi avrebbe dovuto pregare. Ormai di troppo, mi misi a studiare, mentre Luca continuava a giocare con quel ruffiano – oggi più che mai! – che si era messo a pure fargli le fusa, sotto le sue moine gentili.
    – Allora Luca mi lascia stare il gatto!
    – Non te lo mangio mica…
    – No, ma vederti giocare mi distrae!
    Finalmente Luca si stufò di far rotolare il gatto sul tavolo, sventolandogli davanti una fettuccia di carta, e si sedette a studiare. C’era qualcosa d’incredibilmente affine tra quei due: tra il suo giovanile profilo, chino sui libri, e quello Niki, che mi guardava socchiudendo gli occhi felini, sarà stata la dolce rotondità della loro nuca, oppure quel loro essere così enigmatici, insondabili, a volte sornioni, a volte giocosi.

    Luca, quest’oggi, pareva non aver proprio voglia di studiare: ogni tanto smetteva di scrivicchiare sui suoi libri e mi segnava di biro il dorso della mano, beato lui che aveva poco da fare! Sembrava perfino più euforico del solito, ma meglio così… perché aveva qualcosa da farsi perdonare dall’ultima volta. Finiti i compiti, si fiaccò pure di punzecchiarmi inutilmente, scarabocchiandomi i quaderni, e visto che non reagivo tentò di disturbarmi, chiedendomi da bere: – Sai già dov’è, prenditela da solo! Prima mi lasci finire, prima faremo altro… –, speravo solo che intendesse il messaggio sottinteso. Mi fissò un attimo e si levò di torno. Al suo ritorno, mi strusciò provocatoriamente una mano sulla schiena e poi si sedette guardandosi in giro, con aria di peste in cerca di guai: – Il gatto dov’è?
    – Sarà andato via, non credo si diverta a farti da giocattolo! – e si guardò nuovamente intorno.
    – Ah! ma avete un piano! – esclamò, fissando il vecchio mobile alle nostre spalle. – …quando l’avete messo?
    – È sempre stato lì, sei tu che non l’hai visto!
    – Impossibile! – affermò: ovviamente, a un piccolo superomino come lui non poteva scappare niente!
    Si portò sullo sgabellino a fronte. – Lo sai suonare? – mi chiese, alzando il coperchio della tastiera.
    – Chi: io? No, lo sa usare un po’ mia madre – infatti, era lì più per bellezza, che per l’utilità.
    – E tu non lo sai usare! Ve’, ch’è facile: è più facile che la chitarra. Prova! – mi invitò con tono esortativo, si vede che qualcosa doveva saper strimpellare.
    – Non ci provare… io per la musica sono negato, non sapevo suonare neppure il flauto delle medie!
    E mi rimisi a studiare. Luca, intanto, incominciò a esaminare quel vecchio piano verticale, che per il disuso e l’abitudine avevo praticamente dimenticato; balbettò qualche tasto e poi iniziò timidamente ad accennare qualche brano che il mio intelletto inconsciamente riconosceva. Si prodigò pure a spiegarmi del perché lo sapesse suonare, di suo padre da giovane… eccetera, eccetera, eccetera; ma io avevo ben altro a cui pensare, e presto quella musichetta e la sua voce divennero il piacevole sottofondo del mio studiare.
    Riconoscevo, a tratti, qualche ritornello televisivo, o la musichetta del Tetris, o un pezzo di Cremonini o, qua e là, note parse di classica, riaffioranti dai ricordi delle medie. Divenne presto un impercettibile rumore di fondo, come una radio che spezza la monotonia nell’aria, allietando il mio leggere righe di testo che scorrevano ritmiche sotto le mie dita come gli accenti sotto le battute di Luca. Poi, senz’avviso, l’interruzione; l’improvviso silenzio m’irritò, come un brusco risveglio: – Alle… –, mi voltai – ma poi… – fischiettò, con la mano ondeggiante sul pube, che gli avrei fatto un pompino. Ma come si permetteva!
    – Senti! facciamo così: io faccio finta di non aver visto nulla, perché se no, la prossima volta, giuro, vengo lì e ti pesto. Capito?
    – Sì, sì… – si voltò ridacchiando, quasi a volermi dire: “tanto lo so che me lo vuoi fare”; ma che stava successo? cos’era quest’ammutinamento? Spartacus! e per di più in casa mia… Tornai sui miei libri, mentre quello strimpellare riprendeva, ma non riuscivo più ad avanzare d’una parola: avevo davanti agli occhi quel gesto così esplicito, e sotto la sua mano la mia testa che andava su e giù… per quel lungo arnese. Quell’estemporanea interruzione mi aveva scombussolato: studiavo, cercavo, mi sforzavo, ma Luca mi aveva acceso un irreprimibile prurito che non riuscivo più a placare, non riuscivo a calmarmi: la gamba dondolava per conto suo, sentivo spilli sotto il sedere, e un formicolio invadente mi rendeva insopportabile ogni mia posizione; mi dovevo alzare. Silenziosamente mi alzai – non volevo che si rendesse conto di avermi turbato –, per fare due passi nella stanza; forse del moto avrebbe placato il mio spirito, ma niente. Quando mi voltai, rividi Luca ancora intento a suonare con le sue mani che scorrevano su quei tasti bianchi e neri. Era così eccitante, là seduto di schiena con quel bel coppino raso e sottile, mi veniva voglia di mordicchiarlo. Mi avvicinai alle sue spalle, tirai fuori l’uccello, già duro, e lo scappellai: – Tieni Luca, suonati anche questo! –, porgendoglielo di fianco. Luca si voltò: – Ah! –, lo prese in mano e senza indugio ne mise in bocca mezza cappella, iniziando a mimare di suonare un flauto mentre mi aspirava al cappella. Non mi sarei mai aspettato una reazione così composta e spontanea; era fantastico, senza il minimo preliminare prese a succhiarlo voracemente. Tutti quegli spilli, tutto quel prurire ora s’erano coniugati in punta al mio uccello, sotto la sua lingua goduriosa; le gambe non mi reggevano più, sentivo il bisogno di un appoggio. Trovai una sedia, l’avvicinai. Ma Luca non smetteva il suo inesorabile lavorio. Lentamente mi abbassai per sedermi, con lui che, senza smettere, mi seguiva nel mio moto discendente, smontando dallo sgabello e inginocchiandosi tra le mie gambe. Ora sì che mi potevo finalmente rilassare e godere appieno il suo inaspettato regalino.
    Mi portò le mutande alle caviglie, aveva un qualcosa di diabolico, oggi, il suo fare libidinoso. Non so donde traesse tutta quella foga improvvisa: mi stavo perdendo nel fantastico del suo succhiare, lo sentivo esercitarsi con la mano, in mille modi, per farmi godere, tenendomi variegatamente i testicoli, così sapientemente che neanch’io avrei saputo fare coi suoi. Rammentandomi del suo gesto, poggiai la mano sulla sua testa: avrebbe dovuto segnalare la sua sottomissione, ma io non ero certo di chi governasse veramente la situazione. Non avevo neppure bisogno di spingergli la testa, perché ci pensava già di suo a inghiottirne il più possibile, ogni volta vedevo quasi mezza bega sparire tra le labbra. Come s’un ascensore sentivo la mano accompagnata su e giù, mentre accarezzavo i suoi capei d’oro; sentivo l’orgasmo raggiungere il traguardo, “Luca non fermarti”, presto avrebbe ottenuto quello che anche lui tanto voleva, sbrodolando il mio seme dentro di sé. “Allora Luca, è quello che vuoi… preparati piccolo!” pensavo fra me e me; ecco, lo sentivo, l’acme lì lì per giungere, anche lui se ne accorse, e si concentrò a ciucciarmi la cappella; eccolo! continuava e continuava…, non gli esplosi poi molto, ma quell’insaziabile mi stava veramente prosciugando, nonostante che non uscisse più niente.

    Ero sfinito, Luca lo tirò fuori di bocca e poi si alzò in piedi. In quel momento, il suo cavallo rigonfio davanti ai miei occhi mi invitava tangerlo con le dita, ma appena fui abbastanza vicino da fiorarlo con la mano, indietreggiò: – devo andare… – disse, con tono mogio e guardo basso.
    – Perché?!
    – Ho lezione…
    – Ma oggi non è giornata!
    – Questa settimana sì: hanno rimandato l’allenamento…
    Mi sentivo patetico a mendicante un pezzo del suo pene, lì con un braccio proteso, su una sedia e le mutande calate, mentre lui ritto, come un soldatino ligio al suo dovere, dichiarava l’onorevole ritirata dal campo; dovevo ricompormi. Mi alzai, rimettendo tutto a posto. Era mogio, con lo sguardo basso; e pensare che quel mingherlino stava andando ad arti marziali mi faceva rabbia: scommetto che se gli avessi dato un pugno nello stomaco sarebbe svenuto al primo colpo e avrei potuto fargli quello che voglio… Ma che razza di pensieri mi venivano in mente!
    – Allora vai, è meglio che vai… che io devo anche finire di studiare! – non mi veniva altro in mente, per darmi un tono, che farlo soffrire facendogli intendere che dopo il suo servigio per me poteva pure andarsene; ma non era vero: fosse stato per me, avrei concluso in ben altro modo quel pomeriggio.
    Sempre mestamente, prese tutta la sua roba e se ne andò. Non lo accompagnai nemmeno alla porta, ma di nascosto spostai la tenda per vederlo andar via: quel primino aveva fatto il pieno e ora se ne stava andando, ma la prossima volta non se la sarebbe cavata con così poco!

    Edited by erox06 - 15/6/2015, 21:47
     
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  4. oldmanny
     
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    Ahhhhhhhh, bellissimo ed eccitante. Mi piace quel modo di tenere sulla corda! Continua presto
     
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    Complimenti, continua a scrivere!!!
     
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    La zuccata

    Aveva davvero uno sguardo malandrino oggi Luca. Da quando si era seduto, continuava a guardarmi con un strano sorrisetto un po’ inquietante… cogitava qualcosa nella sua testolina matta, anche se non capivo cosa: si limitava a seccarmi con inutili domande, più intento a farmi perder tempo, o meglio ad assicurarsi che non avessi tempo: per lui, per noi, per quello che prima o poi – sapevamo – saremmo finiti a fare. Ma perché tutte quelle domande? Stavo letteralmente impazzendo: odio non sapere che cosa non sta per succedermi attorno, odio essere in balia della gente!
    – Quanto ancora? – insisteva.
    – Luca non lo so…, smettila di rompermi! Credo anche tutta la giornata! – visto che ci teneva tanto a che “non avessi tempo”, tanto valeva farglielo credere veramente, anche se stavo per finire.
    Ora si era messo a ristudiare; proprio non capivo: prima inquieto, poi risoluto, ora, invece, sembrava sedato, come una fiammella a corto d’ossigeno; non mi chiedeva più niente, stava silenzioso chino sui quaderni, col respiro pacato, mentre il biondo dei suoi capelli sembrava donar luce a tutta stanza. Mi ipnotizzava la forma morbida del suo coppino: quella rotondità gentile che m’invogliava ad accarezzarlo, e certamente lui avrebbe gradito, magari corrispondendomi con un sorriso. Pian piano intravidi, col mio sbirciare in segreto, un accenno di sorriso, mentre riprese a sgomitare: gomito a gomito, lui spingeva, io respingevo, mi guardò, mi voltai, e prendemmo a gareggiare entrambi spingendoci con le mani, come due lottatori seduti. Ma allora che aspettava… era tutta lì la sua smania? Possibile che quel pomeriggio volesse solo giocare? Per la nostra concitazione, finalmente una penna si mosse;: con secco rotolìo, rotolò verso l’esterno del tavolo, scandendo un silenzioso conto alla rovescia, mentre noi due immobili attendevamo l’imminente caduta. Era sua, feci per raccoglierla, ma frettolosamente mi anticipò, sgusciando sotto il tavolo.
    Era difficile comprendere Luca, pur intuendo cosa tramasse, il suo comportamento imprevedibile me lo rendeva semplicemente enigmatico. Lo sentii sbattere più volte contro la mia gamba: ma dov’era finita quella biro? Quanto ci voleva per raccoglierla? Finché a tradimento m’accorsi di non riuscir più a chiudere le gambe. Neanche il tempo di scoprire la natura dell’ingombro che mi sentii sfilare l’uccello delle mutande: – Ma Luca, che fai? – gli chiesi facendomi indietro: stava inginocchiato tra le mie gambe, all’ombra del tavolo, tenendo saldamente la mia verga.
    – Ti faccio una sega! – esclamò convincente, lì per lì non capii se fosse una proposta oppure un’imposizione, ma compresi che un no non era contemplato.
    – Adesso…! Mentre sto studiando!
    – Sì, perché no? – mi disse esortandomi al sì – Dovrebbe essere più divertente, no? – in effetti non aveva tutti i torti, era una fantasia intrigante, e poi non sarebbe stato la prima volta che mi stuzzicavo l’uccello mentre studiavo: magari soprappensiero, la mano finiva sempre lì.
    – Sì! però non altro… –; annuì. Non credo fosse tanto intenzionato a masturbarmi, quanto più a creare un precedente: per avere una prossima volta una carta da spendere a ruoli invertiti.
    Presto dovetti ricredermi: studiare stuzzicandosi l’uccello era cosa ben diversa che avere uno che ti masturba divinamente. Anche se all’inizio credevo di potermi concentrare, dopo qualche riga mille immagini mi si paravano davanti, impedendomi di continuare. La sega mi prendeva completamente; e pure lui, secondo me, se la stava godendo: già me lo vedevo soddisfatto che per l’eccitazione ci dava là sotto di mancina. Andai col piede a indagare le sue sotterranee attività, tastando il suo morbido fagottino all’incrocio degli inguini. Che bella sensazione sentire quella cedevole resistenza: era come pigiare su di un acceleratore: più premevo, più la sua foga aumentava.
    Chi aveva più voglia di studiare con quella sega fantastica? A fanculo i libri! Poi sentii la mano di Luca farsi più pesante e liberarmi la cappella… bravo bambino! Percepii tutto improvvisamente più bello, più umido, più avvolgente. Non potevo toccarlo, così posai i palmi aperti sul tavolo; lo sentivo: le sue labbra si muovevano avanti e indietro con foga e decisione; premevo sul tavolo, quando un colpo secco provenne da sotto il tavolo: toc!
    – Luca! – esclamai, abbassandomi preoccupato.
    Sferrò con stizza un pugno alla gamba centrale del tavolo, poi tornò a trattenersi dolorosamente la testa, e con gli occhietti stretti quasi piangenti. Doveva essersi fatto veramente male se quello era spigolo dove aveva sbattuto, spigolo che anch’io conoscevo bene da piccolo per lo stesso motivo.
    – Dai, Luca, vieni fuori… fammi vedere! – gli allungai le mani per traghettarlo fuori, accogliendolo tra le mie braccia, come un cucciolotto ferito. Che bello, però, sentirlo così bisognoso di me. Tranquillizzandolo, con delicatezza ruppi la resistenza dell’intreccio delle sue dita sopra la testa, mentre con apprensione accarezzavo la sua criniera in cerca di qualche goccia scarlatta. Indugiai un po’ per poter accarezzare ancora la sua chioma morbida, di lui che in fondo sembrava gradire le mie amorevoli attenzioni. Tentai di scorgere meglio: forse si trattava di un taglietto sottile, di quelli che si vedono come ritardo, ma non appariva niente neanche col trascorrere del tempo, peccato… già mi figuravo mentre lo medicavo. C’era però poca luce nella stanza, così lo portai in cucina, pensando a come, nel frattempo, quell’episodio poteva sembrar provvidenziale per fargli capire di non far troppo il capetto emancipato.
    – Ahi!
    – Ma se non t’ho nemmeno toccato! Su, non facciamo d’un bernoccolo una tragedia!
    – Sarà anche solo un bernoccolo, ma a me fa male! – oh povero, com’era delicato.
    – Spetta che ti do del ghiaccio.
    Cuki, del ghiaccio, e uno straccio per avvolgere il tutto, come prescrivono i manuali del primo soccorso, ed ecco il rimedio per il suo “atroce” dolore, di lui che ancora si teneva la testa con le mani come se gli stesse per saltar via. Mentre completavo l’impacco, Niki irruppe in cucina catalizzando la sua attenzione, e anche il dolore, visto che sembrava sparito.
    – Ma allora ti fa male o no?
    – Certo, che mi fa male! – disse con ostentazione.
    – Bene! Allora lasciami stare il gatto e mettici sopra questo…
    – Ma che è? Non c’ho mica una testona da elefante! – disse guardando l’impacco, che per l’inesperienza avevo sovradimensionato: almeno il senso dell’umorismo non gli era passato. – Comunque sei sicuro che non mi sono tagliato… – sembrava quasi ci tenesse ad essersi fatto male: chissà, forse voleva una scusa per non andare a scuola domani…
    – Fammi rivedere… – era piacevole tenere la sua cavezza tra le mani, così morbida che quasi me la sarei stratta al petto come quando stringevo il gatto.
    – No, non hai niente… non ti preoccupare: non ti dovranno dare dei punti…
    – Eh già! fa’ il dottorone adesso: “ non ti dovranno dare dei punti”! – polemizzò, con un tono così antipatico da sembrare proprio volere attaccar brighe: o la botta in testa doveva essere stata più forte del previsto, o forse voleva solo litigare per scaricare su di me la sua frustrazione, per la goffaggine appena mostrata. Ma non gli avrei dato questa soddisfazione, conoscevo le tecniche di scaricabarile: ero nato prima di lui in fondo, e non mi sarei fatto trascinare sul fondo da un pivellino.
    – No, non faccio il dottorone… è che ho esperienza in queste cose: una volta mi han dato tredici punti! – scoprii il polpaccio, per mostrargli la cicatrice biancastra fatta tre anni prima col Ciao truccato di un amico. Dovetti poi raccontargli per filo e per segno tutta la faccenda, compreso come avevo contrabbandato quell’incidente per una rovinosa caduta in bicicletta, altrimenti ora col cavolo che avrei avuto il motorino. L’atroce dolore sembrava passato: – Si vede che il ghiaccio t’ha desensibilizzato ‘sta capoccia vuoto… – e mentre lui mi guardò bonariamente storto, gli misi una mano sulla spalla - …dai, malatino, andiamo!
    Non appena gli diedi le spalle: – Dottore! Dottore! –, mi senti trattenere per il polso: – …non mi sento tanto bene: mi sento duro qui, e faccio fatica a piegarmi! – portò la mano sul suo pacco.
    “Cinno maledetto” dissi tra me e me per quella trovata. Poi, sentendo quel turgore palpitante, entrai nella parte: – Mmh… in effetti qualcosa c’è, mi faccia vedere… – lo spinsi con decisione contro lo spigolo del tavolo: – Quanti anni ha, giovanotto? – con goduria gli abbassai la cerniera.
    – Quattordici… –, slacciai la cintura.
    – Uh, è giovane! e sente, per caso, anche male alla testa?
    – Sì, come ha fatto a indovinare… Proprio come se avessi appena dato una capocciata!
    – E già… immaginavo! – finalmente glielo sfilai dalle mutande: – Eh, ma che roba…! – dissi con una voce da Pozzetto davanti a quell’enorme cazzone all’insù.
    – Allora… va tutto bene, vero? – continuò, ridendo.
    – No no… anzi, è gravissimo! Lo vede sto coso qua? – afferrai quella verga durissima – Non dovrebbe proprio esserci! Qui dovrebbe esserci tutto piatto!
    – Oh mio dio! E che si può fare…– mi disse con una voce furbetta: – si può curare?
    - Sì sì, benissimo! e conviene farlo al più presto! – aprii il cassetto del tavolo – Anzi lo facciamo subito… una bella amputazione e non se ne parla più! – dissi, estraendo un lungo coltellaccio.
    – Sto CAZZO! – disse, portandosi le mani al genitale.
    – Come hai… ehm, ha detto? – continuai la recita.
    – Come amputare!? – Sembrava un calciatore sulla barriera difensiva.
    – E sì, in questi casi è la soluzione migliore… un bel taglio netto… – feci segno col coltello – …e non se ne parla più!
    – Ma è proprio necessario? In fondo non mi dà così fastidio…, e magari guarisce da solo!
    – No, no! Non guarisce mica… – gli infilai la mano nelle mutande per rendergli visibili i testicoli: – li vede questi due cosi qua… – indicandoli alternativamente con la punta del coltello – non dovrebbero proprio esserci: si sta propagando, dobbiamo amputare tutto e subito. – Mi rapì nel frattempo il riflesso del suo pene nella lama del coltello, mentre cercavo d’angolarlo per farcelo entrare tutto, senza però trovare la giusta inclinazione: – … questo bisturi però è troppo: per un affarino del genere basta anche meno…
    – Affarino ci sarai tu! – disse indispettito, mentre rifrugavo nel cassetto.
    – Come ha detto? non ho capito…
    – Niente… niente! Ehm… mi chiedevo, piuttosto, se non c’era un metodo alternativo… –, ammiccò con l’occhiolino.
    – Sì, ci sarebbero, però in fondo sono inutili appendici: meglio levarle…
    – Però, io ci sarei affezionato a queste mie… “appendici”…
    – Ma è tutta roba moderna, roba new age… cose inaffidabili…, io sono per la tradizione! Meglio un bel taglio e via…
    – Ma insisto: io sono moderno. E mi piace pure questa roba… new age.
    – Uffa, ma il medico pietoso fa la piaga purulenta!
    – Eh...? – rimase con la bocca aperta e lo guardo stralunato: probabilmente non aveva mai sentito il proverbio. Posai il coltello e lo presi per l’uccello: – Dai vieni…
    Com’era bello trascinarlo per quel testimone improprio di staffetta; una staffetta che prima aveva visto lui in gioco e tra non molto me. Lo portai in salotto, gli abbassai i pantaloni quel quanto bastava e poi lo spinsi a sedere sul divano nella sua più completa passività. Vacca com’era bello con quell’uccello svettante! mi sedetti alla sua sinistra e iniziai a segarlo. Dovevo riprendermi quello che la volta scorsa mi aveva sottratto con la sua fuga improvvisa. Mi sentivo bene a masturbarlo, quasi lo facessi a me stesso; sentire qualcosa di duro e lungo in mano, ma di un altro, aveva un epilogo travolgente sulla mia mente: lo sentivo mio, sentivo quasi un senso di possesso del suo corpo, del suo coso, di lui stesso, perfino del suo pensiero.
    Ero indeciso se guardare con soddisfazione il suo pene oppure la sua faccia goduriosa, in quel momento ci sarebbe servito un pittore cinquecentesco per immortalarne l’estasi gioiosa. Un desiderio pulsante mi crebbe di tenerlo ancora volta in bocca: – Vede che questa cura non funziona… – a quel punto Luca mi guardò come se lo stessi prendendo in giro – Ci vuole la cura intensiva!… – e mi abbassai verso il suo splendido uccello.
    Era appena il terzo pompino che gli facevo ritrovatolo dalle vacanze, eppure sentivo con quella parte di lui una sintonia incredibile, una famigliarità atavica, che oltrepassava i limiti del tempo. Succhiavo quel pene tornito e Luca gemeva; sentivo questa volta un qualcosa in più: il piacere vivido d’introdurre il suo lungo arnese nella mia bocca, che diversamente dalle altre non era solo un semplice bisogno di sfogarmi. Quel senso di pienezza, quella fragranza, in quell’istante ispiravano un vago senso di poesia, ma avevo il bisogno di qualcosa in più di lui. Luca mi poggiò la mano sulla testa e già sentivo le prime sue stille di sperma; ecco finalmente quello che volevo… succhiai, e più succhiavo più ne usciva: liquido, aromatico abbondante, ma non ne ricordavo tutta quella gran copia l’ultima volta!, mi sentivo colmato, dovetti deglutirne un po’ per farne spazio all’altro che arrivava.
    Csh csh! can Luca, ma quant’è che non vieni… csh csh! – mi venne una tossetta dal vago sapore del suo sperma.
    – Perché…? – rispose con un sorrisetto compiaciuto.
    – Eh! ...prova ad arrivarci… – mentre il mio singulto non si fermava.
    – Non so… qualche giorno, comunque…
    Qualche giorno…! Ma come faceva a resistere quel mocciosetto? che io da che l’avevo rincontrato non riuscivo più a stare un giorno senza farmene una, e per l’eccitamento capitava pure che, quando se ne andava, riprendevo ad ammazzarmi di seghe! Ora m’aspettavo, perlomeno, che si facesse avanti per il suo turno visto che prima non aveva concluso, ma dopo essersi tirato sù la cerniera, lo vidi muore un passo nella direzione opposta.
    – Scusa dove pensi di andare? – Dopo averlo fermato per un polso, s’arrestò sorridendo: – Non vedi che anch’io sono bisognoso di cure?! – gli indicai l’enorme bozzo sotto la mia tuta.
    Tornato su’ suoi passi, salì in ginocchio sul divano dov’era prima seduto, ergendosi più alto di me, mi guardò dall’alto in basso con un sorriso malizioso e poi si accovacciò scoprendomelo dai vestiti. Toccò un attimo in punta di dita il segno umidiccio del mio eccitamento su quell’accenno di glande scoperto dal mio turgore; mi ricordò l’umido tocco della sua lingua, era così delicato quasi temesse di farmi del male, poi cominciò la sega sorridendomi nuovamente come a chiedermi se ero felice.
    – Passa direttamente alla cura intensiva… – l’esortai, e Luca prontamente abbassò la pelle e girò attorno la lingua. L’adoravo quando prendeva l’ iniziativa; poi cominciò la vera pompa. Non sapevo dove posare le mani: sulla sua testa avevo paura di fargli male, ma volevo toccarlo; così, piano, accarezzandolo, gli sfilai la maglietta mal posta sotto i jeans, scoprendogli l’inizio della schiena; trovavo eccitante il suo fianco snello, così presi ad accarezzarlo con mossette fugaci e a incitarlo con qualche sì. Alle mie incitazioni cominciò a succhiarlo più forte, e io non potevo far altro che gingillarmi con la sua colonna vertebrale, sconfinandogli ogni tanto sotto l’elastico delle mutande. “Dai, Luca…”; “su Luca…” dicevo nel mio maldestro tentativo d’imitarlo nei suoi versi di godimento, mentre lui sentendomi giungere adeguava il succhiamento: – Luca, preparati! – non riuscivo a esimermi dall’avvisarlo: – sto venendo… – e succhiò con avarizia ogni mia goccia di sperma. Tornò su, passandosi il dorso della mano sulla bocca come se avesse fatto una grandiosa scorpacciata, e sorridermi accattivante sembrò quasi chiedermi se anch’io ora ero soddisfatto.
    Stavo ancora con l’uccello di fuori, quando tentò nuovamente la fuggita; ma dove voleva scappare quel bel biondino? Lo bloccai per un braccio, mentre lui mi guardò incuriosito: – Ma dove vuoi scappare…? – e me lo tirai vicino, cercando caricarmelo addosso. Nella mia mente mi ero figurato un lento adagiamento, ma sottovalutando le forze in campo, crollammo rovinosamente sul divano. Luca era a pochi centimetri dal mio naso, le nostre labbra per poco non si sfiorarono: divenni rosso per l’imbarazzo. – Ma ti piaccio così tanto? – mi disse con un tono divertito, ma serio nell’essenzialità della sua domanda.
    Cosa aveva voluto dire? …un campanello d’allarme scosse la mia anima: mai un “ma” iniziale mi sembrò così cupo; e poi cosa voleva intendere con “piacere”? Come amico? Come persona? Fisicamente? Esteriormente? Io lo trovavo semplicemente… sentivo per lui un…, ma che rispondergli… la verità… Quale verità? E lui: perché me lo aveva chiesto a quel modo? Una domanda così formulate presupponeva che, qualsiasi cosa fosse, il mio provare fosse scontatamente più profondo del suo! Che provava lui? Magari il suo sentire era più superficiale del mio…, un ghiribizzo, uno sfogo sessuale in attesa della ragazza.
    – Cosa!... volevo solo giocare! – gli dissi, scapigliandogli i capelli per sdrammatizzare.
    – Ahia! – si lamentò piuttosto seccato: – Ma sei scemo?!
    – E te l’avevo detto di tagliare, ma tu non m’hai voluto ascoltare! – gli abbassai la testa per poterla guardare: – Forse è meglio che chiami i tuoi, se ti fa così male...
    – No! No! Riesco ad andare a casa… – contento lui… io me lo sarei tenuto un altro po’ con la fronte poggiata sul mio petto a carezzarmelo, ma visto che avevo appena evitato un discorso potenzialmente imbarazzante, meglio troncarne ogni altro sul nascere: – Dai che abbiamo già perso anche fin troppo tempo, su!
    – Già… – si alzò, tenendosi ancora una mano sulla parte dolorante della nuca.
     
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  7. HubheZ
     
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    Fantastico.
     
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    bellissimo come sempre :king:
     
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    non scrivi più? :alone:
     
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    Mi piacerebbe che fosse approfondito quel 'Ma ti piaccio così tanto?'...

    Non so se è chiedere troppo.


    Questi racconti sono fantastici :-)
     
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  11. claudio collina
     
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    questo racconto è qualcosa di meraviglioso. Non puoi interrompere sul più bello! Concordo con l'utente sopra di me: quel "ma ti piaccio così tanto?" deve avere un suo seguito! Attenderò il resto dei capitoli con ansia. Ancora complimenti, è tra i miei racconti preferiti sicuramente! :3
     
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    Da discente a docente

    – Alle, – cominciò, col suo solito piglio da grillo petulante, la domanda: – ma le ragazze si masturbano? – chissà donde nasceva in lui quell’astrusa domanda sull’assurdo mondo femminile?
    – Sì… – cioè, perché non dovrebbero?
    – E come… fanno così? – cominciò a strofinarsi col dito sul suo florido pacco. Ecco, dove voleva arrivare…
    – No, dentro…
    – Così… – mimò ancora su quel poggio ubertoso, che lentamente degradava verso le sue gambette sottili.
    – No, proprio dentro: dovresti andare dentro col dito.
    – Dentro… – si fermò come se avesse deglutito qualcosa di disgustoso. – …che schifo! – esclamò, netto e reciso.
    – Ma come che schifo! E allora come fai quando ce lo metti dentro?
    – Sì, ma è diverso! Col coso non è senti tutto come col dito… – col tono che andava verso l’acuto, si giustificò come un bambino sconvolto.
    Sì, forse lo capivo: un dito nella fica… un dito dentro a un organo! Non ci avevo mai pensato, ma proprio ora che col suo sguardo disgustato mi stava trasmettendo quel senso di viscido e viscere proprio in cima al dito, come se lo stessi ficcando loro dentro, ora lo capivo… io, che col dito non riuscivo neanche a sfiorare un insetto proprio per quel senso di fragile e molliccio che il loro esoscheletro mi dava, o che della carne non m’impediva di mangiare tutto ciò che fosse tendine, grasso, nerbo o tegumento, tranne muscolo, pena il rigurgito.

    Mentre ci riflettevo, senza che me ne accorgessi, Luca si rimise a studiare: stranamente, repentinamente, così com’aveva esordito con quell’inaspettato exploit. Ora, però, non riuscivo più a smettere di pensarci: ora che avevo adocchiato il suo splendido pacco, era come se una forza misteriosa mi tirasse lo sguardo verso quella parte di lui.
    – Ma è vero che si può spezzare? – riprese, dopo un po’, per la mia disperazione. – Mi han detto che si può… – aggiunse, quando lo guardai.
    – Credo di sì! – mi sistemai – Se una ti vien giù in malo modo, tipo con lo smorzacandela… ma anche con le mani… – feci segno.
    – Eeeh! – esclamò incredulo. – Ma com’è fa?
    – Beh, come tutte le cose rigide, si spezza.
    – Sì… ma come fa? cioè, non è mica un osso… c’è un muscolo! Al massimo si stira… – concluse come un pìcciol uomo sicuro, del suo insicuro sapere…
    – Ehm, no! Guarda, tutto… ma un muscolo, no! – su quell’eresia proprio non si poteva tacere.
    – Ah, no?… – mi disse con fare saputello.
    – No.
    – E allora cos’è? – mi sfidò.
    – Eeeh… – così su due piedi mi era difficile dirglielo. – Ti mostro perché non è!
    Mi guardò con faccia tosta, come a volermi dire: “vediamo che cosa t’inventi!”.
    Gli presi il braccino e gli dissi, mettendoglielo sul tavolo e afferrandogli il bicipite: – Fai il muscolo!
    – Ma vai a girare! – mi strappò il braccio di mano, facendomi al contempo segno d’andare a quel paese.
    – Ma non ti sto prendendo in giro! – glielo ripresi. – Fa’ il muscolo! Dai!
    – Toh! – allora mi fece, mostrandomi tutta la gagliardezza del suo giovane muscoletto.
    – E non noti niente…?
    – Cosa?! – mi strillò con cattiveria.
    – Che il muscolo lavora accorciandosi…
    – E allora?
    – E allora… che se fosse un muscolo ti si accorcerebbe invece allungarsi.
    – Vero… – disse, rimanendo con lo sguardo strabiliato. – Ma allora come fa?
    – Sangue!
    – Ma va’… – mi stava rimandando a quel paese.
    – Giuro! È la pressione sanguinea che aumenta.
    – Veh, che l’ho studiato il corpo umano! – disse – …e se fosse come dici tu, allora, quando corro, che il cuore mi batte più forte, mi diventerebbe sempre duro.
    – Va be’, Luca, non è proprio così semplice…
    Luca mi guardò con compatimento, come mi stessi arrampicando sugli specchi, tirando in ballo chissà quali astruserie.
    – Vieni, che ti faccio vedere! – lo presi per il braccino e lo accompagnai a sedersi sul divano, mentre io mi diressi alla libreria. Là, sull’ultimo ripiano, dove solo con la sedia ci si poteva arrivare, tra le copertine sbiadite dei vecchi libri dell’enciclopedia medica, stava la fonte di tutto il mio sapere: e là ritrovai il vecchio tomo – forse, perfino, più vecchio di me – carminio scuro, da “dab” a “gut”, che saltuariamente veniva consultato da me, unico fruitore; e segno evidente ne erano quelle pagine ingiallite e ondulate, rispetto al resto della risma, sotto la voce “Genitale maschile, apparato”. Quante volte l’avevo consultato negli ultimi anni, per fugare le mie ansie giovanili e le mie ubbìe puberali, cercandovi sopra le lunghezze giuste per ogni età e incazzandomi ogni volte perché non le trovavo ben esposte in una bella tabellina, prima di capire che dagli altri sotto quel versante non avevo nulla da temere? E ogni volta lo riponevo sempre a posto: ben accosto, mai discosto, neanche di poco, dagli altri libri, per paura che mia madre spolverando lo notasse. Eppure quante volte ho palpitato, quando ne prendevano uno vicino, o magari proprio quello, temendo che mi scoprissero, attirati da quell’insolita sfaldatura nelle pagine o dal loro naturale sfogliarsi al punto dell’ultima consultazione, come son solite fare nei vecchi libri troppo a lungo chiusi e sempre aperti alla solita pagina.
    Appena mi sedetti, Luca mi guardò strano, con quel mezzo mattone sopra le ginocchia. Dalla sua faccia sembrava non credere tanto ch’io potessi avere dimestichezza con un tomo del genere, alto un mezzo dizionario: d'altronde non è consueto per un adolescente aver dimestichezza con certe letture.
    Indugiai col volume chiuso sulle ginocchia, finché la faccia di Luca si fece come un trepidante “allora?”, così lo aprii. Mentre lui ci buttò un occhio sopra, glie n’occultai la vista non appena giunsi al consueto spaccato anatomico col genitale maschile.
    – Perché?! – mi fece come un bimbetto indispettito.
    – Ehm… – dissi – ci vorrebbe sotto un… “modello concreto”: così capisci meglio quel che dico!
    – Eh, allora…
    – E allora dai! – gli feci intendere di spogliarsi.
    – Ma fallo tu!
    – Io! … io ti devo spiegare… sei tu che lo devi fare!
    – Uff! – disse sbuffando, come se gli costasse chissacché; ma si alzò. Con enfasi esasperata si portò le mani alla cintura, la sfibbiò, e con rude sensualità si calò le braghe.
    Che bello vederlo spogliarsi solo per me! Ma aveva ancora la maglietta che gli copriva le mutande, nascondendomi forse la maggior parte della sua miglior dote, di cui vedevo soltanto la rotondità inferiori… ben trattenute dentro le mutandine da ragazzino, rigatino fantasia, che poi si abbassò, lasciandomi intravedere per un attimo i suoi testicoli, mentre si sedeva. Ero così eccitato che gli sbattei freneticamente la mano vicino al suo sederino, andandogli vicino: – Sei fortunato! sai? – dissi: – Se fosse di pelle, a quest’ora avresti freddo al sederino… – con voce da scemo. Ma Luca mi fulminò, guardandomi come si guarda un cretino, prima che finissi magari per dargli un bacino. Non so come mi fosse uscita quella sortita: non riuscii a trattenerla, era come se mi fosse servita da sfogo per non saltargli addosso in quel momento.
    Mi raccomodai a terra, poggiandogli il libro vicino. Come in un moto di pudore, si era tirato giù la maglietta verdognola, ma ancora gli si vedevano le palline di là giù in fondo, allo scuro, in mezzo alle sue gambe, ma soprattutto si notava la sua erezione, sotto la maglietta, che emergeva da quel dragone stilizzato, stile tribale, d’un verdognolo più scuro.
    Scivolai con la mano tra le sue cosce. – Qui ci sono i testicoli! – iniziai, indicandoli pleonasticamente sull’immagine. – Questi cosi color fagiolo sono le gonadi, e stanno dentro allo scroto… – lessi: – si ritira e si rilassa per tenerli alla giusta temperatura per la spermatogenesi… tu sai che cos’è la spermatogenesi?
    – No.
    – È la produzione degli spermatozoi… si formano come dei piccoli girini nei... “tubuli seminiferi”, a 35 gradi… e sai quanti sono?
    – Che cosa?
    – Gli spermatozoi… ogni volta che sborri! – No, fece con la testolina.
    Cercai quel numero, sapevo ch’era esorbitante, ricordi di biologia, e che l’avrei stupito, dicendoglielo, ma non lo trovavo. Quella cifra si nascondeva tra le righe: centinaia di migliaia di minuscole parole, di caratteri sottili, neretti, corsivi, numeri e lettere e segni… ma non quello, finché: – Ecco! 90 milioni! Pensa… – gli palpai le palle – e tutti qui dentro!
    – E come ci stanno… – disse quasi divertito.
    – Beh, sono piccolissimi.
    – Sì, ma sono tantissimi. E anche poi tutta la sborra…
    – Ma quella non sta lì dentro.
    – No? – disse stupito.
    – No, sta da un’altra parte. Ci stanno solo gli spermatozoi.
    – Ma allora quando si dice “ne ho le palle piene”…
    – Va beh, ma è un modo di dire… Comunque, qua c’è scritto – ripresi: – che sono di quattro centimetri e che crescono fino ai tredici anni… quindi le tue… – infilai anche la seconda mano tra le sue cosce a tastargli i marroni. Uno per mano, in punta di dita, a palparli le gonadi, proprio come fece ame la dottoressa alla visita delle medie. Ma Luca sembrava non gradire il mio interessamento genitale, e saltellò: – Allora la smetti! – mi rimproverò.
    – Ma ti sto soltanto…
    – Mi dai fastidio!!!
    – Ma controllavo se ti eri sviluppato…
    – Ma fatti i cazzi tuoi! – ribatté scontroso.
    – Va bene. Passiamo oltre, allora … – alzai la maglietta, portando in primo piano la sua ottava meraviglia.
    – Questo è il pene! – dissi, prendendo quel bel pezzo di bega! – Vedi che è fatto da due parti: qua il glande, e questo il tronco! Questo, – strinsi – che tu ci creda o no, è fatto di 3 corpi… Leggi!... che si riempiono di sangue e ti fanno diventare duro il cazzo! – glielo stavo praticamente strapazzando. – Uno è il “corpo spongioso” …che si trova qua! – gli passai con la nocca svelto sulla cresta ventrale– …e qua i due “corpi cavernosi”! – glielo abbassai, passandogli con due dita per tutta la lunghezza dorsale dell’asta e vedendolo eccitarsi man mano che giungevo alla fine.
    – …e la cappella? – mi chiese, con una certa eccitazione nella voce.
    – …e la cappella è, invece, la parte che ti fa godere, – iniziai a contrargliela ritmicamente – per questo che si deve scoprire…
    – E se non ci riesce?
    – Si taglia.
    – Come gli ebrei! – esclamò un bambino che dice la prima cosa che gli passava per la testa.
    – Beh, per loro è un rito, e non sono mica gli unici… lo fanno anche i musulmani… e lo facevano prima di loro, altri: gli Egizi, per esempio, lo facevano a dodici anni. Ho sentito in tv!
    – A dodici anni?… che vergogna!
    – Eh, pensa! – gli tirai la pelle: – se tu fossi nato circa 3000 anni fa, due anni orsono, un grosso omone ti tirava il pisellino e zac… con una grossa lamaccia!
    – Pisellino… Pisellone, vorrai dire! – l’adoravo quando faceva lo smargiasso così: a quattordici anni, con quella gran bega, poteva permetterselo!
    Con delicatezza, feci uscire la punta, con l’acre fragranza che subito mi invase le narici. – Qua sotto c’è il filetto invece … lo sapevi ce n’è uno anche in bocca.
    – Dove?
    – Qua! – alzai il labbro superiore per farglielo vedere – …e dicono che sia il punto più sensibile.
    – Davvero?
    – Sì! – andai a solleticarglielo con la punta della lingua: – Sentito?
    – Hmm, un po’… – fece non tanto convintamente.
    – Forse serve più… – e su quelle parole la sua cappella scivolò dentro la mia bocca (o forse era la mia bocca che scivolarvi sopra?). Dopo averlo ciurlato per così tanto, era tempo di passare alla pratica e di vedere se il mio bravo scolaro aveva imparato la lezione e il voto che gli avrei dato… e lui a me! Pensavo a tutto quel sangue che scorreva tra le mie fauci, per un po’ mi misi ad addentarglielo per sentirne la consistenza: ma come poteva del sangue creare una cosa così meravigliosa? C’era qualcosa di più bello al mondo, che la natura potesse aver creare, capace di reggere il confronto? qualcosa di più divino? E che cosa…? Una vulva… Non sapevo ci fosse qualcosa in grado di farmi provare più forti emozioni, ma certamente lui meritava il mio dieci e lode... a lui come studente, alla sua poderosa erezione, alla sua copiosa eruzione.
    Buttai giù flutti di sperma amari, immaginandomi tutto quel brulicare di spermini che mi girava per la bocca, la gola, l’esofago, e poi tutta quella parte di suo diennea che diventava parte di me. Sazio di lui, gli tirai su i suoi pantaloni fino alle ginocchia, e poi col suo aiuto fino a rimettergli tutto a posto, soprattutto il suo preziosissimo tesoro, ben premurosamente tutto dentro le mutande. Abbracciai Luca, tirandolo a me. Era così coccoloso adesso, che me lo sarei caricato sulle spalle per portarmele a cavalluccio per tutta la casa e sentirmi addosso tutto il suo dolce peso; però era altro che m’interessa in quel momento: portai la sua dolce manina dalle mie parti, quando Luca mi disse: – Sono stanco… –, poggiandomi la testa sulla spalla per moina.
    – Riposati, allora! – gli tolsi le scarpe. Mi sentivo estremamente servizievole oggi: mi piacque perfino tirargli su le caviglie per permettergli di distendersi sul divano, come se lui dipendesse in tutto e per tutto da me. Lo accarezzai finché non chiuse gli occhi, così mi alzai.
    – Non resti qui? – sussurrò.
    – No, vado a studiare, poi torno… – e lo accarezzai nuovamente. Avevo ancora il sapore sulla bocca quando tornai da quei maledetti libri.

    ***


    Mia madre rientrò, come al solito abbracciandomi quando, tornando, mi trovava seduto suoi libri di scuola a studiare come uno studente modello. Era quella l’unica manifestazione d’affetto che ancora le permettevo senza brontolare: forse per l’abitudine, forse perché pur a sedici anni è bello ogni tanto sentirsi far qualche coccola, o forse perché era l’unico momento in cui eravamo da soli noi due in casa e mio padre poteva vederci, non che con lui ci sarebbero stati problemi – anzi, fosse per lui sarei ancora il suo “bambino” –, ma davanti a lui c’era qualcosa che mi impediva.
    – Allora? – solita domanda di rito. – Ma Luca... dov’è quel birichino? Ho visto che c’è fuori ancora il motorino – Già… preso dallo studio mi ero completamente dimenticato di lui: del bell’addormentato!
    – È là che dorme… Si sentiva stanco. Gli ho detto di rimanere…
    – Hai fatto bene! Se deve tornare per la provinciale, meglio che non sia riposato – solite premure da mamma. – Ora però sveglialo. Non voglio che i suoi si preoccupino non vedendolo tornare.
    Aveva ragione, oramai si stava facendo tardi, e di solito era già sulla via del ritorno quando lei rientrava: per mia scelta, perché non volevo che facessero troppa comunella.
    Mi avvicinai, soffermandomi a guardarlo appoggiato sul divano. Com’era bello vederlo dormire così cucciolino… trasmetteva un che di tenerezza che veniva voglia di abbracciarlo all’infinito. Mi ero fermato imbambolato a guardarlo, e mia madre comparve dalle scale dal piano superiore: – Allora? che aspetti… – si appoggiò, anche lei, alla ringhiera a guardarlo, poi disse: – Ti somiglia… – aveva negli occhi un sorriso nostalgico – …sembra te qualche anno fa.
    Ma perché dovevo vedere mia madre guardare Luca con quegli occhi così piani di tenerezza? Sì, era oggettivamente carino, anzi adorabile! Ma era fastidioso sempre vedersi gente fargli i complimenti: i genitori, i professori, le compagne di classe…; e poi dovevo disinnescare quella pericolosa situazione: beccato in contemplazione di Luca non giovava certo al mantenimento del nostro segreto! Così molestamente lo punzecchiai sul fianco – Sveglia! dai! sveglia!
    – Alle! Sii più gentile… – mi rimproverò, ma era proprio la razione che volevo: almeno avevo dissimulato l’impressione iniziale.
    Il bell’addormentato si stirò con calma, pareva l’emblema della vita presa con rilassatezza: – Ma si può sapere cos’hai…! – poi avvistò mia madre: – Oh, buon giorno!! –, scattò subito a infilarsi le scarpe.
    – Luca, con calma! Non ti caccia mica via nessuno… – e poi mi diede un’occhiataccia di rimprovero: – Volendo puoi rimanere a cena, se vuoi… non fare i complimenti!
    – Grazie, ma devo andare… non ho avvertito a casa! – si stava allacciando le scarpe in fretta.
    – Già, però la prossima volta potresti… – presi la balla al balzo.
    – Dai!… – lo esortò anche mia madre – ci farebbe piacere…
    – Va bene, adesso chiedo a mia madre e poi domani ti faccio sapere – s’alzò, dopo aver finito d’allacciarsi le scarpe.
    Così lo accompagnai alla porta, certo di avergli strappato il consenso.

    Edited by erox06 - 24/12/2015, 12:25
     
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    Bellissimo letto tutto d'un fiato dall'inizio a qua coraggio continua tenero affaascinante commovente.
     
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  14. claudio collina
     
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    finalmente dopo tanto il nuovo capitolo. Non aspettavo altro! Ma sono sempre curiosissimo di leggere il seguito
     
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  15.  
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    Grande!

    Li rileggerei all'infinito :)
     
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128 replies since 26/12/2014, 00:14   60425 views
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