Cronache di terza [Young][Scolastico]

Le avventure erotiche di un liceale e del suo giovane amico

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  1. ianian
     
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    Sempre più bello e meraviglioso <3 <3 <3
     
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  2. oldmanny
     
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    Proprio dolce e piacevole da leggere, spero tu pubblichi presto altri capitoli
     
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    Le storie su di me? Tutte vere, probabilmente.

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    Mi aggrego e ti faccio i complimenti! Spero di leggerlo tutto stavolta...
     
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    Non c'entra nulla a questo punto della storia, ma mi piacerebbe un sacco leggere il capitolo "Sabato pomeriggio", secondo me di gran lunga il più bello di tutti! in ogni caso rinnovo i miei complimenti per questa storia stupenda!
     
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  5. cagliaritano
     
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    non avrai intenzione di interrompere una seconda volta?????
     
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    Quando continui?? Non vedo l'ora di leggere il prossimo capitolo 😄☺
     
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    Nocte

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    Ti prego..continua
     
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  8. ShinJ
     
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    :runcry:
    è incantevole 😍😍
     
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    Notti insonni

    Non riuscivo più a dormire; nelle ultime tre notti, praticamente insonni, non avevo chiuso occhio, perseguitato com’ero dalle mie mille fantasie: un continuo, unico sogno morboso assediava la mia mente, e ad occhi chiusi o aperti per un adolescente non fa più alcuna differenza: il mondo è un’inesauribile fucina di stimoli erotici. Era da lunedì che Luca non veniva, ed era da quel dì che anch’io non venivo, per consumare tutta la nostra frenesia in sua compagnia; ma di quel biondino, neanche l’ombra!

    Sabato sera, uscita con gli amici: i soliti quattro sfigati? No, quella sera se n’era aggiunto un altro: uno più grande, un cugino lontano, che seco portava pure due amiche – le altre sarebbero giunte, quando ormai per noi sarebbe stato già troppo tardi.
    Al pub, una di loro, la più simpatica e carina – l'altra doveva essere la fidanzata –, ci guardava (era pure lei più grande di noi: un annetto credo, forse due… giusto quei diciassette-diciott’anni), ci guardava e prendeva confidenza con noi: ora si appoggiava a questo, ora quello; scherzava, rideva alle nostre battute scontate; beveva dai nostri boccali; si appiccicava, accarezzava i timidi sul collo, e poi se ne andava dall’amica o dall'altra parte del tavolo, dagli altri due. Era carina, ben fatta, ma i coprifuochi son impietosi alla nostra età! e mentre ci incamminavamo verso gli scooter, loro goliardicamente scherzavano: c’è chi si vantava – a suo dire – di essere stato più oggetto d'attenzioni degli altri; chi, invece, di averle toccato, di nascosto, sotto il tavolo, le gambe; e poi a conteggiar quanti più minuti fosse stata accanto a uno piuttosto che a un altro. Mi chiedevan conferma: se l'avessi toccata, se le avessi sbirciato dentro la scollatura: quei cretini egoisti ignoravano la mia agonia , quel subbuglio interiore ch’entro mi ribolliva.
    Quella notte lei girava: girava per la mia stanza, e a volte era lei, a volte era Luca. Quel bastardello l'avevo visto a scuola per tutta la settimana, e neanche una volta s’era degnato di venirmi a trovare: avevo già trascorso cinque giorni resistendo, e ora dovevo, potevo, volevo resistere! o tutta quella tortura sarebbe stata soltanto un'inutile frenesia ormonale scaricata in un gorgo di gabinetto. Ma che lotta, però, tutta notte con la mano confinata fuori dal letto; e domani... chissà? Era domenica: aspettavo; aspettai! Pensavo che almeno in quel giorno si sarebbe fatto vedere, ma invece niente: l'odiavo! Incominciavo a pensare che m’avesse preso solo per una botta e via; ma domani era giorno di scuola: domani era ora di fare i conti!

    Durante l'intervallo veniva sempre a fare una capatina da me e dai miei amici: in fondo condividevamo pur sempre lo stesso corridoio; e pure il mio corso, oltre la scuola, aveva scelto, ed essendoci soltanto due sezioni ebbe pure la fortuna di finire nella stessa mia. E ora eccolo lì, davanti alla 1ª F (solo la seconda di mezzo tra le nostre due classi), seduto sul pianalino interno della finestra, a sbocconcellarsi la sua merendina, senza neanche degnarmi d’uno sguardo.
    – Ciao Alle! – mi salutò felice: – … allora che hai fatto ieri?
    Lì per lì, vedendolo così tranquillo smangiucchiarsi la sua merendina, mentre io versavo nella mia agonia ormonale, l'avrei appeso! Ma sorrisi: – Senti, che fai oggi? Vieni da me ‘sto pomeriggio?
    – Non so... – se voleva iniziare male una frase, ci stava riuscendo! – …devo vedere cosa fa mia mamma! – Mi spiace: risposta sbagliata! Misi una mano sopra il suo ginocchio e, simpaticamente, strinsi con tutta la forza che la mia mano poteva esprimere; – Che fai, allora?
    – Sì, sì, non ti scaldare: vengo! – mi disse, sorridendo: forse non aveva preso il mio gesto per un atto intimidatorio, ma per una goliardica dimostrazione di forza; ma in tutti i modi avrebbe fatto bene a non mancare all'appuntamento!

    Mezzora! Mezz'ora d'orologio era passata dall’ora designata, e quel primino non s'affrettava ancora a presentare la sua capigliatura bionda dentro la mia sala. Una buca? o forse m’aveva preso per un impegno procrastinabile impunemente? Ma gliel'avrei fatta vedere io, la prossima volta che l’incontravo! E intanto il mio supplizio cresceva, aggravato per di più dall’angoscia che quel dì non si sarebbe neppure fatto vedere; quando finalmente udii uno smarmittio di motorino!
    Gli aprii il cancello, e come da accordi entrò da solo, presentandosi in cucina col casco tra le mani e un grande sorriso stampato sulla faccia; ma si sbagliava se s’aspettava un tappeto steso di rosso, quel ritardatario!
    – Dai! Metti giù il casco che andiamo! – il sorriso gli sparì subito dalla faccia.
    – Andiamo dove? – domandò confuso.
    – In camera mia, dai… – posò il casco e arreso seguì le mie istruzioni, salendo le scale. Sembrava più grandicello oggi Luca da dietro, con quei jeansetti perfettamente attillati e quella maglietta finemente abbinata; pareva quasi un ometto. Entrai in camera, e chiusi la porta: anche se eravamo soli in casa, chiuderla mi aiutava a sentirmi più al sicuro dagli sguardi del mondo e a sentirmelo più mio.
    Luca stava lì, fermo in mezzo alla stanza, che confuso attendeva un mio indizio: – Allora?
    Mi avvicinai a lui, sistemandogli la simmetria del colletto: – Tu, per il momento, sta’ fermo qui! –, gli dissi spostandolo davanti al mio letto; com'era bello! Ma come avevo fatto ad avercela con lui? e a pensare che quel pomeriggio non si sarebbe neppure fatto vedere, dopo che lui me l'aveva promesso? Lo abbracciai, per farmi perdonare. Sentii la trama a coste sottili della sua canottiera sotto la maglietta: mmmh… avrei preferito trovarvi subito sotto la pelle nuda come l'altra volta; ma oggi faceva più freddo, e poi ne avrebbe guadagnata l’espoliazione. Prima lo strinsi, poi l'accarezzai, con lui che rispondeva al mio moto frenetico, senza però riuscire a starmi dietro: ero troppo inebriato, non sapevo neanche più in che sequenza muovere le mani: meglio ricominciare! Lentamente lo spogliai della maglia, e poi della canotta. Luca stava fermo, sorridendo e assecondando ogni mio movimento, perché sapeva che almeno per quella volta volevo sentirmi io il padrone della situazione. L'idea mi piaceva: lui era mio, e finalmente libero da quei due sostrati di pelle superflua, nella sua inerme nudità, mostrando ai miei occhi la sua straordinaria asciuttezza. Feci un passo all’indietro per ammirarlo tutt’intero; mi eccitava ancora di più vederlo così: mezzo nudo sopra e mezzo vestito sotto, con quei jeans che mettevano in evidenza tutta la sua abbondanza. Non ce la feci più! avanzai verso quel biondino dal sorriso malizioso e lo spinsi contro al mio letto: Luca volò letteralmente all’indietro, come un ramicello sbattuto dal vento. Feci per saltargli addosso, ma adirato mi sbraitò irruento: – Ma che CAZZO fai! –, sottraendosi dalla mia portata, – …ma che modi sono!? – Spiazzato dalla sua reazione, dopo quella pantomima di violenza, rimasi interdetto.
    Lo cercavo, ma sfuggiva dal mio sguardo quasi si sentisse minacciato; e intanto cresceva la sua rabbia, dalla sua voce e dai gesti con cui mi chiedeva se non fossi diventato matto. Lo cercavo, non capivo: mi sentivo disorientato, come intrappolato in un pozzo dai pareti viscidi apertosi sotto i miei piedi; quando lui m’urlò: – Basta! Voglio uscire! –, buttandosi verso la porta. Mi gettai subito sulla maniglia; e nel bisticcio di mani riuscii a impossessarmi della chiave. Luca si allontanò, e cominciò a ordinarmi di farlo uscire.
    – Luca calmati… mi dispiace…
    – Mi dispiace un CORNO! – ruggì – Fammi uscire! – riprese, strillando più forte.
    – Lasciami spiegare…
    – Non ti faccio spiegare un bel niente! Non sono il tuo giocattolino… fammi uscire, o giuro che ti denuncio! – e, nel dirlo, assunse come una strana posa d’attacco con le bracca: – ALLE, fammi uscire! lo sai che sono cintura verde!
    Sapevo che praticava una forma di arte marziale, ma non sapevo né il suo grado né, tantomeno, la plausibilità delle sue intimidazioni; ma dopo quella frase assunse ai miei occhi l’aspetto d’un piccolo gladiatore nell'arena dei leoni, anche se l’immaturità fisica e quei pettoralini piatti non contribuivano certo a conferir troppo credibilità alle sue minacce.
    – Luca, lo so, per piacere, non fare così! Fammi spiegare… – cercai di calmarlo, ma inutilmente: si fiondò sulla maniglia e scattai per bloccarlo con un abbraccio fatale. – Luca, per piacere, ascoltami… –, si dimenava con forza incredibile, –…era solo un gioco! Sono giorni… sono giorni che non… – gli confidai il mio segreto, e smise di scalciare.
    – È vero? – mi chiese con tono severo.
    – Sì – e m’accostai in cerca d’una forma di tenerezza alla sua testa.
    – Mollami! – mi ordinò deciso, rifiutando ogni mio gesto d’affetto. Si allontanò, si sistemò, e con lo stesso tono duro di prima: – Puoi anche dirle le cose, invece di fare lo stronzo! – per tutto il tempo non m aveva ingiuriato e per questo lo stimavo, ma quell’ultima frase mi fu più dura d’un cazzotto in faccia: mi sentivo un verme. – Scusami Luca… – risposi contrito, tentando d’abbracciarlo.
    Si lasciò abbracciare, poi ricambiò il gesto, ma non capii se per l’imbarazzo o per mostrarmi il suo perdono. Il mio subbuglio interiore però non era svanito, così tramutai allora quell'abbraccio in uno strenuo tentativo d'effusione. Finalmente trovai il coraggio di riguardarlo in faccia: aveva uno sguardo teneramente voglioso, e non bisognoso d‘altre parole: meglio tacere e lasciar parlare soltanto i gesti. Mi tolsi la maglia e a lui rimisi la canotta: dopo quello che era successo, era meglio ricominciare da capo, ma non proprio tutto dal principio! In fine via pure la mia tuta: rimasi soltanto in canottiera e mutande. Lui si scalzò subito le scarpe, ma giunto ai pantaloni lo fermai. – Lascia… – gli dissi, prendendo a slacciargli la cintura; il cuore mi batteva forte in gola, mentre Luca continuava il suo lento balletto di toccamenti sul mio petto. Bisticciai col bottone dei ginsi, e quando finalmente riuscii ad averne la meglio, sentii uno sbuffo di sorriso sul mio viso: la complice intesa era ritornata! Palpitante gli abbassai la cerniera: quel suono zigrinato mi sembrava aprire nuove porte di percezione nel nostro mondo di tentennamenti; avrei voluto toccarlo ma non osavo ancora violare oltre il suo splendido sesso. L'abbracciai un'ultima volta, prima di correre dall'altra parte del letto e fermarmi ad ammirarlo imbambolato.
    Sembrava ancora più bello e radioso con quella luce proveniente dalle spalle, mi ricordavo ancora le sue braccine prima,in posa d'attacco: ora invece sembravano così inermi nella loro minutezza. Ma la cosa migliore stava là sotto: quel magnifico pacco, tutto compresso nel tessuto decorato delle sue mutandine da quattordicenne. Mi ero smarrito davanti a quella visione, quando lui mi riportò prontamente alla realtà, con un “allora” che comunicava tutta la sua impazienza.
    – Dai! sotto le coperte!

    Il mio Luca era lì insieme a me: era stato così buono lui… e io invece dovevo ancora farmi perdonare. Mi guardava dubbioso, come a chiedermi perché fossimo andati sotto alle coperte; ma non era questione di scenografia, come poteva sembrare a lui: non era un film porno; era questione d’atmosfera: in vacanza avevo appreso dell’esistenza di qualcosa in più del semplice piacere erotico: un mondo parallelo fatto di coccole, abbracci e carezze, non meno appagante del primo, anche se a lui poteva sembrare l'unico possibile. Iniziai ad abbracciarlo forte e pure lui m'imitò, stringendomi con tutta la forza che aveva in corpo; percepivo qualcosa di liberatorio nella sua stretta, anche se mi faceva male: forse era il suo modo per punirmi, e in fondo me lo meritavo. Quando stanco di vendicarsi mi mollò, ripresi a respirare, ma non ce l'avevo con lui: non poteva certo ferirmi una sua punizione fisica, e peggio sarebbe stato il non rivederlo più.
    – Ma lo sai che sei forte – confidai imbarazzato.
    – Lo so già!
    – Ma ti sta cambiando la voce?
    – Davvero? – mi rispose lui più stupito di me.
    – Non so, sento che ogni tanto ti cambia! – e troncai lì quell'inutile scambio di parole. L'accarezzai sulla nuca, poi sul corpo in punta di dita: con tocchi sottili, leggeri, misurati, là solo dove serviva, per portargli piacere. Tocco dopo tocco, mi avvicinai al suo inguine. Appena lo toccai, Luca mi strinse, emettendo un gridolino di piacere: avevo trovato il suo punto debole. Avvicinandomi con le dita al suo sesso, più forte lui mi stringeva, e allontanandomi la sua foga placavo: era come una fisarmonica tra le mie mani, che abilmente suonavo.
    Mi avvicinai al suo inguine; mi strinse; passai sotto con le dita all'elastico, e m’intrufolai fino ad agguantagli le palle. Lui si stava ancora agitando, ma ora, mentre gli accarezzavo i marroni, non gli bastava più soltanto stingermi, si mordeva la lingua e cercava freneticamente qualcosa da stringere con la mano: che trovò nelle mie mutande! Una foga pazzesca, smanava l’intero mio sesso, mentre saggiavo la morbidezza del suoi testicoli. Gli uscii dalle mutande, e mi diressi suo suo pene, già mezzo fuori dall'elastico, sfiorandolo appena: – Basta…! – m’implorò, con gli occhi socchiusi: – o vengo… – sibilò con un dolcezza mai sentita. Mi fermai: avevamo l’intero pomeriggio davanti, perché consumarlo tutto in quell’istante? "Ora faccio io" mi parve di sentirgli dire. Prese l'iniziativa scorrendomi le mani su tutto il corpo come feci prima io con lui: ma dalla rapidità del suo abbassarsi, non era quella di farmi godere la sua intenzione. In poco, fu già sulle mie mutante, lo trasse, e smanioso cominciò a darmi vigorosi colpi di sega; mi faceva male: – Luca, non è di ferro… – dissi, stringendo i denti. – Davvero? A me pare di marmo! – rispose con l'ardore tutto in corpo, dopo di che s’immerse sotto alle coperte, prendendolo subito in bocca. – Luca aspetta… – gli sfilai la canottiera, oramai era ora di mettersi più liberi. Luca riprese lecchicchiandolo sotto la coperta, poi lo riprese in bocca con ingordigia. Vedevo solo la sagoma della sua testa sussultare forsennatamente sotto le coperte. Succhiava abilmente, ma non era per me: io non sentivo niente col glande ancora coperto, traeva soltanto lui piacere da quel sucare forsennato, per sfogare il suo eccitamento; poi si placò e riprese a masturbarmi. Era appagante, ma mi stavo stufando: io non l'avevo preso soltanto per masturbarmi; io lo volevo guardare in faccia, lo volevo toccare. Sollevai il lenzuolo, e lo trovai seduto tra mie gambe col mio uccello in mano, e l’altra a zagagnarselo. Lo riportai al mio fianco, e ne approfittai per levarci, a entrambi, le mutande.
    Appena disteso avvertii un brivido di freddo spandersi per tutto il mio corpo, strinsi Luca per cercarne il calore: il dolce tepore del suo corpicino, l'ardore del suo turgore sul mio ventre mi davano sollievo. Avevo freddo, ma mi sentivo bene con "Luca" al mio fianco, il suo nome echeggiava per la mia mente, desideravo urlarlo, gridarlo, proclamarlo al mondo intero, mi sembrava non vero, un sogno quell'attimo eterno; come mai in quell'istante desiderai che il tempo si fermasse, che il mondo cessasse d'esistere in quell'istante stesso così perfetto, che quasi piangevo all’idea che quel pomeriggio sarebbe finito. Avvolto da un algido torpore: il freddo si condensò sulla mia pelle anestetizzata; guardai Luca: sembrava irreale quel tenero biondino sul mio cuscino, gli accarezzai il volto, gli occhi chiusi e poi scesi sul pene. Ripresi a masturbarlo e lui di nuovo a fiatare, ma non mi bastava più soltanto vederlo godere, sentivo l'incessante voglia di farlo venire, di riscaldarmi col suo vov adolescenziale. Mi sollevai a cavalcioni sulle sue gambe brandendone il sesso: quel pene eretto, come un piccolo totem al dio eterno della virilità! Chissà se era quella l'arma del mio piccolo gladiatore?
    Cominciai a lisciargli il pisello riavendone il sapore sulla lingua, e ogni volta non finivo più di solcare quella doppia decina di verga, finché non ne senti la mancanza proprio dentro alla mia bocca. L'infilai, succhiai forte scappellandoglielo, con Luca che emise un gemito potente. Era passata solo una settimana, ma mi pareva un anno intero da quanto gradivo il suo sesso dentro alla mia bocca: era così appagante affondare quel lungo coso dentro me, sentirlo tornivo dentro le mie labbra, assaggiarne i primi umori sulla lingua, che quasi non mi pareva vero. Il suo ansimare si fece finalmente più fondo; "gemi, gemi pure", ripetevo dentro di me: "grida forte ora che nessuno può sentirci!": era il mio invito, e lui eseguiva. Finalmente quello che volevo: ancora un poco, ancora più forte, e il suo es non si spanse dentro di me. Non fu generoso come l’altra volta, ma il suo volto gaudente compensava la mia mancanza alimentare; ingoiai quel poco per continuare la suzione, finché sarebbe durato il suo senso dell'orgasmo.

    Com'era eccitante il suo corpicino nudo a ridosso del mio. Me lo toccava timidamente, mentre io giocavo coi resti del suo antico vigore. A poco a poco, man mano che si riprendeva dal sopimento, quei lievi toccamenti in punta d'uccello divennero sega, vigorosa e magistrale; il suo sguardo non era più sornione ma teneramente voglioso: – Ora, faccio io! – mi disse, sorridendo. Si sollevò, facendomi intendere di prender posto al centro del letto, si mise carponi su di me. Dalle spalle i suoi palmi partirono verso il mio petto, mentre s’adagiava piano col sedere sulle mie gambe, e incominciò a baciarmi su tutto il mio uccello. Pensavo volesse subito farmi venire, ma invece di prenderlo bocca ricominciò a segarmi; di solito reggo bene la stimolazione di una sega, ma dopo tutti quel giorni che attendevo già appena all’inizio mi sembrò di scoppiare. Non so se fossi io o se fosse merito suo, ma questa volta Luca era decisamente bravo con la mano, molto più che al mare: tentavo di resistere finché Luca non si fosse deciso a prenderlo in bocca, ma più resistevo e più un eccitante dolìa cresceva, dolore e godimento tutt’insieme in un greve crampo al basso ventre, che lui acuiva dolcemente grattandomi tra i peli. Non potevo esimermi dal gridare, e Luca, compiaciuto: – Vedo che ti piace…– mi disse. A un certo punto non ce la feci più: il dolore l'eccitamento il piacere, non capivo più cosa fosse; – Luca… – lo supplicai sperando che capisse. Finalmente sentii la sua bocca, e in poco esplosi dentro la sua bocca il mio orgasmo violento. Mi sentivo svuotato, mi sembrava di non essere mai venuto così copiosamente: non capivo come Luca avesse potuto resistere e bermi tutto in una volta.
    Non avevo mai goduto così tanto, mi sentivo leggero, estraniato dal mio corpo, senza più forza. Luca ridiscese parendo quasi soddisfatto, mi abbracciò e poso la sua testa sul mio petto: – Allora? – mi chiese con tono sospensivo, quasi a chiedermi se fosse stato bravo, ma non avevo nemmeno la forza di elaborare il pensiero. – Cosa fai poi… ci vieni a scuola con me? – rispese ancora con quella storia.
    – Sì, però i miei vogliono che ti aiuti a fare i compiti per sdebitarmi!
    – Perché?
    – Luca, dai, lasciami riposare… – non avevo voglia di parlare: avevo soltanto voglia di addormentarmi con lui che mi abbracciava.


    – Uhhhh! Tua mamma! – s’alzò di scatto come un gatto, sollevando la testa dal mio petto.
    – Non c’è nessuno! – gli dissi ritirandolo giù per il collo con una certa seccatura: la sua agitazione mi aveva infastidito. – Non ti credere: non ci tengo neanch'io a essere beccato! – e me lo risistemai sul petto.
    Passammo un’altra mezzoretta in quello stato di comatosa beatitudine; il mio fisico si rifiutava di muoversi immerso in quell’inerzia di stasi perpetua, ma purtroppo era giunto il momento di interrompere il nostro pomeriggio di sensuale appagamento.
    – Dai, Luca, muoviti! Tra un po’ arrivano i miei! – lo sobbalzai dal mio petto.
    – Mmm... – mugugnò.
    – Su! – lo scossi col petto.
    – Uffa! –
    Aveva uno sguardo ancora voglioso: ma cosa dovevo fare per soddisfare quel ragazzino insaziabile se dopo tutto quello che avevamo fatto avevo placato persino me? Si mise di lato per nulla intento ad alzarsi, mi guardò scorrendo tutto il mio corpo nudo disteso sotto di lui, fermandosi sul mio pene e lo prese in mano. Incominciò a smarlettarmi; fu automatico seguirlo: avevamo entrambi ancora energia per fare nuovamente cose… ma se solo i minuti non corressero sempre così inesorabilmente!
    – Dai basta! – gli dissi con rammarico, e mi alzai per vestirmi: – Su, vestiti!

    Io avevo già finito di vestirmi, ma Luca continuava a indugiare, con indosso solo la canottiera, perdendo tempo a guardare il pavimento.
    – Ma che stai aspettando: la balia per vestirti!?
    – E non le trovo! – mi disse con gli occhi fuori dall’orbite.
    – Che cosa non trovi?
    – Le mutande! Non le trovo più!
    – Come non le trovi! – gli feci il verso concitato per prenderlo in giro, ma mi misi a cercarle insieme a lui; inizialmente pensavo fosse solo colpa della sua incapacità, ma effettivamente non c'eran più. Cercammo dappertutto: sotto il letto, sul letto, nel letto, tra le coperte; persino in quei luoghi imponibili, dove chissà come avremmo potuto cacciarcele: sotto la scrivania, dietro il comodino, nel cestino, ma niente, quell'ottuso indumento non voleva saltar fuori.
    Luca si stava disperando, ed era parzialmente comico vederlo solo in canottiera col pipino di fuori e le mani tra i capelli: – Eh adesso come faccio! – disse sconvolto cogitandosi un futuro sconosciuto e angoscioso
    – Come: “come fai”? Ti vesti e te ne vai, visto che tra poco arrivano i miei! – e gli feci segno di smammare.
    – Come vado via! E come? con solo jeans addosso! Dai trovale… non me le avrei mica nascoste tu, su dai tirale fuori lo scherzo non è più bello!
    – Luca, io non ne so niente: mi son vestito mentre tu le cercavi. Come, cazzo, facevo a nasconderle?
    – E adesso come faccio...! – si stava facendo sempre più disperato: – Senti, prestamene un paio!
    – Un paio! – la soluzione mi pareva più assurda del problema; ma comunque non c'erano alternative, se non se ne voleva tornare a casa con nulla sotto. Aprii il cassetto e ne tirai fuori un patio; la cosa mi faceva ridere, ma non potevo sbottargli in faccia con le mie risa davanti alla sua legittima disperazione.
    – Eh, voilà! – gli garrii le mutande come una muleta.
    – Ma non sono come le mie! – mi disse con la voce piagnona – Non ne hai un paio diverso?
    – Senti, ringrazia che le presti. E poi non è colpa mia se ce le hai ancora da moccioso!
    – Ma come faccio ad andare a casa con quelle e se poi me le beccano… – sembrava mentalmente regredito all’età di ott’anni.
    – Senti, ma è tua madre che ti cambia? – non ce la facevo più a non ridergli in faccia.
    – No! – rispose seccato.
    – E allora, quando sei a casa, te le cambi e le fai sparire! Non so: ci vuole tanto nella vita… ma a te, quando sei nato, ti hanno insegnato che dovevi respirare o ci sei arrivato da solo? – e gliele tirai appallottolate.
    Le prese e le infilò subito: – Senti un po', tu! Non è colpa mia, se mia madre me le compra ancora da "moccioso", come dici tu! – se l'era presa e non poco: il mio solito carattere stronzo l'aveva fatto nuovamente inacidire, solo che questa volta ero io ad essere pianamente dalla parte della ragione!
    – Piccolo, – lo canzonai – anche mia madre faceva come la tua. Poi, visto che mi son stancato di essere preso per il culo, alle superiori ho iniziato a mettermi solo quelle bianche, così dopo di un po' s’è stancata di lavare sempre le solite tre paia, perché le altre restavano sempre nel cassetto, e alla fine s’è decisa a cambiarle tutte, smummiati!
    – Sì, ma almeno la tua te ne aveva comprate di diverse, io come faccio?
    – E io che cazzo ne so! Diglielo! – Luca capì che proprio non aveva modo di avere la meglio questa volta – e adesso sciò, prima che arrivi mia madre, che devo anche rifare il letto! Fila, su!
    C'era rimasto male, e se ne andò via come un cane bastonato, senza neppure un saluto, ma intanto ero sicuro che gli sarebbe passata, e poi l'avrei rivisto l'indomani a scuola; piuttosto, ora era meglio ritrovare quel maledetto indumento, dimenticato chissaddove, prima che fosse stato trovato da lei.

    Edited by erox06 - 5/5/2015, 20:19
     
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    Bellissimo! Non farci attendere ancora così tanto dai :) non puoi pubblicare il proseguo già stasera o domani? Lo chiedo perché mi sembra di aver capito che questi primi capitoli del racconto tu li abbia già scritti in passato e quindi siano già pronti :) grazie mille :)
     
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  12. oldmanny
     
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    proprio bello e dolce, posta presto il seguito
     
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    Don't be so serious <3

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    Cerca di migliorare la grammatica ^^
     
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    Compiti maledetti

    – Ciao! – gli avevo appena detto, non più di due ore e mezzo fa, uscendo dalla sua auto, ed ora rieccomi qua, di nuovo a salutarlo, davanti alla soglia di casa, mentre entra col suo zaino ingombrante, ancora sulle spalle. Ormai da tre giorni usufruivo del servizio navetta di mia madre, gentilmente offerto lungo il tragitto casa-scuola, e io per “sdebitarmi” – parole dei miei – dovevo aiutarlo. ogni tanto. a fare compiti o a studiare; anche se, per quel poco che lo conoscevo, non era certo lui ad averne bisogno, del mio aiuto.
    – Dai, entra alla svelta! ché oggi, tra i compiti e la verifica, non ho neanche il tempo di guardarmi alle spalle. – Luca non rispose: col suo fare sicuro di sempre, mi guardò con una faccia che sembrava dare poco credito alle mie parole, quasi sapesse di aver lui il comando, e sistemò diligentemente i suoi libri di scuola sul tavolo, assieme ai quaderni.

    Non avevo mai fatto un incontro di studio pomeridiano a casa mia: per me era una cosa nuova, specie se avere uno più piccolo a cui addirittura avrei dovuto fare da precettore.. Ogni tanto lo guardavo assorto nei suoi compiti: sembrava irreale vederlo così distaccato, intento a studiare, quando la maggior parte del tempo trascorso in casa mia, finora, era stata spesa in ben altra maniera (e molto più divertente!); soprattutto mi stupiva non aver ravvisato in lui il minimo tentativo di cominciare qualche altra attività.
    Dopo non so quanto tempo di religioso silenzio, dove tutto sembrava funzionare fin troppo alla perfezione, Luca chiuse rumorosamente i libri di scuola, quasi a rimarcare la definitiva conclusione di tutti i suoi impegni scolastici: – Bene! Ho finito: che si fa? – mi disse, guardandomi deciso.
    – Si fa un bel niente, Luca. Non so te, ma io ho ancora un casino di roba da fare: domani ho una verifica, se te lo sei dimenticato…
    Non disse nulla, non aggiunse niente; nessuna reazione apparente: non sembrava nemmeno lui; l'unica cosa che non aveva perso era la sua solita sicurezza. Dopo di un po', avvicinò la sedia a me e fece finta di guardare sui miei libri, e mentre col suo sguardo scorreva geroglifiche formule di trigonometria, la sua mano finì tra le mie gambe, rovistandovi per bene. Non ne potevo più di quelle stupide formule: che tentazione cedere al suo invito, ma quelle pagine maledette non si sarebbero di certo lette da sole. A malincuore presi la sua manina, così dolce, e la levai: – T'ho detto che devo studiare… adesso non ho tempo… – cercai di essere duro, ma con lui mi era impossibile – Dopo… forse… – aggiunsi.
    – Dopo quanto?
    – Ancora tanto! Dai… lasciami finire – ero disperato: da una parte quei noiosi seni e coseni e dall'altra l'appagante insistenza di quel diavoletto biondo; che fare?
    – Possibile che io abbia già finito e tu… – iniziò con tono polemico; ma l'interruppi: – Forse perché tu fai la prima e io la terza?... Forse perché il mio anno è un tantino più impegnativo del tuo? No, eh!
    Ci rimase male, ma tornò subito alla carica: – Beh, però… – disse, riallungando la mano.
    – Ti ho detto: no! – scocciato, incrociò le braccia e mi chiese dell'acqua. Lo accontentai e poi gli accesi la tv per levarmi di torno quell'attraente fonte di distrazioni; ma non passò molto che Luca si rifece vivo alle mie spalle, guardando nuovamente sui miei libri. Una mano leggera si posò sulla schiena, dandomi la dolce sensazione d’un contatto umano: forse anche lui cercava solo quello in fondo, in quel lungo pomeriggio; ma non potevo concedergli nient’altro in più, o sapevo che avrei abbandonando quei tediosi libri per il resto della giornata. Fissai il vuoto, finché si trattava di una semplice mano potevo anche resistere, ma immerso nella mia stessa inerzia gli occhi non focalizzavano altro che un indistinto punto nello spazio e né un solo muscolo del mio corpo mi rispondeva, il tempo si era come fermato per me, mentre la pressione sulla mia spalla dolcemente cresceva; il respiro di Luca si fece più profondo e vicino, fino a toccarmi la testa con la sua; quasi di riflesso alzai la mano per toccare il morbido dei suoi capelli. Poi Luca si mosse, sedendosi dietro di me, e l'incantesimo del suo tocco s’interruppe. Mi abbracciò.
    – Dai Luca… per piacere!
    – Ma non sto facendo niente! Sto qui buono: non va bene neppure questo… – disse mostrandomi le sue manine aperte, poi stringendosi attorno alla mia vita.
    – Dai, stai pure lì! Però sai cosa non devi fare!...
    – Sì, sì, non ti preoccupare. Però, dopo, andiamo in camera tua? – mi abbracciò più forte.
    – Perché in camera mia?
    – Dai… come l'altra volta! – disse con la voce timida e sorniona.
    – No, non abbiamo tempo: dopo arriva mia madre. Però qualcosa lo troviamo… E non starmi così addosso!
    C'è l'avevo duro, mi intrigava troppo studiare con lui abbracciato; mi faceva sentire desiderato, atteso: però, che fatica! Se solo la sua manina fosse scesa un po', e avesse incominciato a muoversi su e giù… che bello che sarebbe stato! Brrr… mi dovevo riprendere, non dovevo pensare a certe cose! Mi dovevo concentrare, perché una volta finite quelle stramaledette pagine, avrei sistemato io quel biondino. Luca nel frattempo si era perfettamente accomodato: oltre a cingermi, si era pure adagiato con la testa sulle mie spalle; avevo quasi l'impressione che si fosse addirittura addormentato.

    Quelle ultime dieci righe le posso anche saltare! Chiusi il libro e mi stirai, pigiando Luca contro lo schienale della scranna.
    – Ahi! – mi gridò con voce acuta e sonnolente.
    – Oh, scusa, ci sei tu! me n’ero scordato! Sai, non ci sono abituato…
    – Sì, però adesso levati!
    – Aspetta un attimo – dissi, buttando indietro le braccia in cerca di una “parte” di lui. Ma che sfiga: aveva i jeans! Ne percepivo l'ingombro, ma non potevo apprezzarlo. A dire il vero, non avevo proprio voglia di venire quel giorno… mi sfagiolava di più qualcosa di rilassante. Colpa sua! colpa del suo rilassatissimo dormire sulle mie spalle; dopo tutto non ero mica vincolato da alcun contratto al suo volere, né ero nemmeno pagato per i miei servigi, anzi era lui in casa mia… e stava a lui adeguarsi ai miei desideri.
    – Su, andiamo sul divano! – gli dissi, traghettandolo per mano a distendersi tra le mie braccia. Voleva fare come la volta scorsa in camera mia? Bene, allora avremmo fatto una bella pennichella accoccolati l’uno all’altro; doveva andare bene pure a lui, perché non si lamentava. Mi piaceva l'odore dei suoi capelli, così morbidi tra le dita: come avere il mio gatto. – Ma cosa usi? sei morbido come il mio gatto!
    – Hai un gatto? – mi rispose inspiegabilmente incuriosito, guardandosi intorno come se s’aspettasse di vedere sbucar fuori un’ombra felina da chissà quale penombra.
    – Sì.
    – E dov'è? non l'ho mai visto!
    – Ah, lui gira: è un vagabondo! La prossima volta, se riesco, lo costringo in casa: così lo vedi. – Mi piaceva l'idea di accontentarlo, mi sarebbe piaciuto ogni tanto fargli dei regalini, ma la cosa mi sembrava un po’ troppo sfacciata, così mi dovevo limitare ad accontentare i suoi piccoli desideri, quando li manifestava; e ricominciai ad accarezzarlo sulla nuca con immenso piacere. Era rilassante ed eccitante allo stesso tempo, ogni tanto strusciavo la mia erezione contro di lui, quando a un certo punto lo notai trafficare giù da basso, nei pressi della patta: – Ma che stai facendo? – dissi abbastanza scocciato per il mio mancato coinvolgimento.
    – Visto che tu non fai… faccio da me! O non posso neppure questo?
    – No, no, fai pure! – iniziò a masturbarsi.
    Il primino si stava masturbando e ci stava dando pure dentro: si stava proprio facendo una marletta, e se non fossi intervenuto, credo, mi sarebbe addirittura venuto sul tappeto; questo poi no! E poi non si può dar una festa senza invitare il padrone di casa – non è corretto! –, né tanto meno tirar fuori l'uccello in casa d’altri senza farselo trastullare.
    – Allora! La smetti di smarlettarti che mi vieni sul divano! – ma lui continuava imperterrito, quindi l'afferrai. Appena si accorse della mia mano, tolse la sua – …ora ti masturbo io! –; rise.
    – Che hai?
    – Mi fa ridere come l’hai detto!
    – Cioè?
    – "Ora ti MASTURBO io", ma che razza di verbi usi?
    – Uso i verbi che mi pare! – gli strinsi l’uccello – e adesso taci! –, e tacque. Preferivo decisamente com'era adesso: «vedere ma non toccare» è una cosa che non m'è mai piaciuta! e poi toccare la bega di Luca era particolarmente bello, e così non rischiavo che mi giocasse brutti scherzi, avevo io in mano le redini della situazione… e che situazione!

    – Ahi! – urlò.
    – Che c'hai adesso?!
    – La cerniera, mi frega.
    – Eeeh, ma che lagna! – e, mentre lo masturbavo, spinse più in basso i jeans e le mutande. Era già passato un po' da quando m’ero messo a pistolare col suo gingillo, e anche se non andavo a buon fine, la cosa non sembrava dispiacergli, anzi si assopì pure, mentre ancora lo smanettavo. Però, perché darsi tanto da fare per uno che dorme? Meglio esplorarlo un pochettino. Scesi lungo l’asta, fino a giungere alla salda base, e quindi l’afferrai forte: mi dava una certa soddisfazione stringerglielo lì in basso, perché pareva così massiccio, così vigoroso! Poi, ora che erano finalmente libere, potevo godermi anche le sue palle: mi dimenticavo sempre di loro, eppure erano così belle piene e morbide da tenere in mano, che era uno spasso riempirsene in palmo.
    Tra tastate, tastatine il tempo passava e Luca sonnecchiava alla grande, non so perché tenessi ancora il televisore acceso, non lo guardavo nemmeno, concentrato com’ero su quell'esserino che mi dormiva a fianco.

    Era arrivata mia madre, uffa! Me lo sarei goduto volentieri un'altra mezz'oretta, e pure lui… dal gran che se la dormiva: – Luca svegliati, è arrivata mia madre. Sistemati!
    Luca si svegliò improvvisamente, risistemandosi nascosto dallo schienale del divano: – Ma perché non m’hai svegliato prima! Almeno sarei andato via prima che arrivasse tua mamma! – disse a bassa voce.
    – No, perché mi serve che ti veda: deve vedere che sei venuto qui a fare i compiti, se no poi mi rompono: se vengo con te in macchina senza… dare in cambio niente, diciamo. Capiscimi, sono cose da genitori… – e sorrise, speravo solo nel suo essere bravo attore con mia madre.
    Strategicamente mi rimisi al tavolo e quando mia madre entrò, iniziai a chiudere i libri facendo finta d’avere appena finito di studiare. – Ciao Alle. Ah! ciao anche a te Luca. Come stai? – mentre lei gli attaccava la sua solita pezza, io portai i libri in camera.
    Avevo tenuto per così tanto la bega di Luca in mano, che ancora ne sentivo l’impronta teporosa nel palpo; avrei volentieri sopperito alla mancanza della sua materia prima con la mia, ma non c'era tempo neanche per una seghina: li avevo già lasciati soli per cinque minuti quei due, li avevo già lasciati soli per troppo… Era quasi seccante come quel primino risultasse simpatico a tutti: ai miei compagni, ai professori, ai miei… Basta! meglio rientrare in scena, prima che a mia madre venisse voglia di barattare suo figlio col piccolo ospite. Scesi le scale, Luca mi aspettava vicino la porta posteriore col casco tra le mani… però, aveva finalmente imparato quand'era ora di smammare: bravo ragazzo! Anche se oggi mi dispiaceva lasciarlo andare così presto. Lo accompagnai in garage, vederlo accendere lo scooter mi tuffò il cuore nella tristezza, ma perché mia madre non lo aveva invitato a rimanere a cena? Non mi sarebbe affatto dispiaciuto tenerlo un altro po' in casa, e magari farmi fare una bella seghetta. Quando uno le faceva un favore, non finiva mai di sentirsi in debito, e ora che ero io a ricevere un favore, le bastava che lo aiutassi soltanto a fare i compiti: la vita è ingiusta!
    Andai in un cantuccio oscuro del garage: – Luca, vieni… – Mi guardò incuriosito e s’avvicinò; ce l'avevo duro.
    – Che c'è?
    Gli presi la mano: – Senti, se una prossima volta restassi qua a cena...? – gli chiesi infilandomi la sua mano nelle mutande.
    – Sì, dai..., una prossima volta si può fare. Chiedimelo prima però, devo avvertire mia mamma!
    Luca iniziò a ravanare avvicinandosi ancora. Perdeva tempo, tergiversava con domande oziose di cui conoscevamo già l’inutile risposta, mentre la sua dolce manina si muoveva. Ma perché doveva andare? Non potevamo adottarlo? tenercelo in casa per me come piccolo un cucciolo… La porta cigolò; Luca ritirò subito la mano guardandosi alle spalle, ma non c'era nessuno: non era mia madre, quella porta maledetta si era mossa da sola, ma intanto aveva rotto l’incantesimo. Lo abbracciai per un ultimo addio, e tristemente ci salutammo.
    Mentre usciva dal cancello, sentivo ancora la sua manina calda che idealmente non mi aveva mai lasciato; domani l'avrei rivisto a scuola, ma intanto non avrei resistito così tante ore senza di lui: mi sarei sfogato in bagno con un’altra bella sega.
     
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